Le foglie di Urbino

Di Riccardo Renzi

Suona la campanella, è l’ultimo trillo dell’anno scolastico, l’ultimo della loro vita, per i ragazzi della V G. Il liceo classico Raffaello di Urbino è in subbuglio, ragazzini corrono ovunque, in preda all’euforia, si respira già un clima estivo. La giornata, infatti, è delle più serene, l’indicatore della temperatura della farmacia in via Mazzini, segna 26 gradi, una leggerissima brezza soffia dai portici di corso Garibaldi. Dal fondo del corso, avanza un bel ragazzo, alto, slanciato, moro, con gli occhi verde riolite. Tutta quella bellezza stonava però, con il suo sguardo accigliato, non si capiva mai se fosse triste o arrabbiato. Giovanni, questo il nome del ragazzo, vestiva elegante, forse un po’ troppo rétro, ma si capiva che ci teneva, che quell’abbigliamento era voluto e ricercato, anche fin troppo. Quel giorno, indossava una camicia color nocciola tutta sbottonata, con sotto una t-shirt bianca, dei blue jeans chiari e degli stivaletti in cuoio, dalla spalla destra, penzolava la tracolla vintage in pelle, anche questa di un marrone chiaro, logora, sembrava quella degli esploratori ottocenteschi. Sul polso destro, un piccolo orologio, con cassa in argento e cinturino di pelle, probabilmente un omega. Dalla tracolla ricolma di libri, ne fuoriesce qualcuno, su uno di questi si legge: Edipo-re Sofocle. Giovanni è uno dei ragazzi della V G. Quel giorno tornando a casa ripensa a tutti i momenti felici trascorsi con i compagni di classe, in quei lunghi cinque anni, conscio del fatto che quella spensieratezza non tornerà più. Mille pensieri gli frullano in testa: la paura per la maturità, si sente pronto, ma sa che avrebbe potuto fare di più; i dubbi sulla scelta della facoltà giusta per lui; la certezza che a settembre perderà i suoi amici, ognuno andrà per la sua strada, facoltà diverse, città diverse e chi si è visto, si è visto. Giovanni era da sempre convinto che la distanza e il tempo alla fine avrebbero spezzato ogni legame, anche quello più forte. Poi c’era lei, Laura, l’amore della sua vita, alla quale, però, non aveva mai trovato il coraggio di dichiararsi. Troppo timido, troppo sulle sue, Giovanni, ma soprattutto troppa era la paura di ricevere un no, che gli avrebbe spaccato il cuore. Laura, anche lei era di Urbino, con Giovanni si conoscevano da sempre, avevano fatto elementari, medie e superiori nella stessa classe, erano amici, ma non troppo, proprio perché, Giovanni non le aveva mai dato troppa confidenza, per evitare di legarsi troppo e che lui, poi ci stesse male. Laura, era una bella ragazza, non particolarmente alta, con gli occhi chiari, i capelli scuri, un po’ ondulati, e i lineamenti delicati, somigliava molto, come diceva sempre Giovanni, a una giovane Claire Forlani in Vi presento Joe Black. Laura veniva da una famiglia bene, forse la migliore d’Urbino: sua madre era avvocato, aveva lo studio in via Donato Bramante, era in società con il cugino, anche lui avvocato. La madre era una Cancellieri, tra le famiglie più nobili di tutto il territorio urbinate, ma oltre al blasone e la gloria passata non le era rimasto altro, suo nonno, infatti, amante del gioco e delle belle donne, si era sperperato tutto. Suo padre, non era di Urbino, aveva insegnato lì per dieci anni, alla facoltà di economia, poi dopo il divorzio con la madre, era tornato a Roma, sua città natale, alternando la cattedra urbinate con quella della Luiss, dove insegnava economia aziendale. Laura, non aveva un buon rapporto con il padre, gli rinfacciava sempre il fatto di essere stato poco presente, di aver anteposto la carriera alla famiglia, e dopo il divorzio anche di esserne stato la causa. Lei si era infatti, resa conto, pur essendo molto piccola all’epoca, che Alberto, è questo il nome del padre, aveva un’amante. Tale fatto segnò profondamente Laura, che da una parte la portò a non fidarsi mai completamente degli uomini, ma dall’altra aveva un gran bisogno di una figura maschile che le stesse affianco, come in sostituzione di quella paterna, che nei momenti importanti non c’era mai stata. Aveva avuto molte relazioni per la sua giovane età, ma nessuno dei ragazzi, le aveva dato la maturità che cercava. Laura non era superficiale, ma amava giocare con il suo aspetto, era cosciente della propria bellezza e sapeva che difficilmente qualcuno poteva resisterle. Giovanni, proprio per il suo comportamento schivo e introverso, lo aveva visto sempre e solo come un amico, anche se più volte confidandosi con le amiche lo aveva dipinto come il più carino della scuola.Giovanni è quasi giunto sull’uscio di casa, quando il cellulare vibra, è Paolo, un suo compagno di classe di Fossombrone, che gli chiede se ha voglia di farsi una sigaretta in Fortezza, subito gli risponde: “Pà, cinque minuti e arrivo”. Così si sbriga, entra in casa, i suoi non sono ancora tornati, posa la borsa e ruba due sigarette dal pacchetto della madre, chiude rapidamente la porta e via di corsa su per via Raffaello. Giovanni nonostante il vizietto del fumo era un tipo atletico, tutto pelle e muscoli, aveva praticato nuoto a livello agonistico fino ai quindici anni, per un breve periodo poi si era dato al calcio a cinque, ma non faceva per lui, negli ultimi due anni continuava a tenersi in forma andando a correre due volte a settimana. Il podismo non gli piaceva più di tanto, però era l’unica attività che gli permettesse di scaricare la tensione. Eccolo arrivato in Fortezza, però non vede Paolo, che è sdraiato sul prato a qualche metro da lui e sta già fumando la sua sigaretta, una camel blu. Paolo fu il primo ad iniziare a fumare tra i compagni di classe, già in seconda ginnasio fumava, di nascosto, ma fumava. Paolo era di Fossombrone, con Giovanni, si conosceva da molti anni, poiché la madre aveva deciso di fargli fare le scuole medie ad Urbino. Non erano nella medesima classe, ma fin da subito si erano conosciuti e avevano stretto un buon rapporto, pur essendo molto diversi: Paolo era vivace, sempre in cerca di nuove amicizie, bravo con le donne, insomma un tipo giocoso e festaiolo; Giovanni invece, era chiuso e introverso, non dava mai confidenza a chi non conosceva bene, non cercava nuove amicizie, perché come diceva sempre gli bastavano quelle che già aveva e con il gentil sesso era veramente un disastro, pur essendo schifosamente bello. Paolo lo vede e subito urla: “Giò, ma dove cazzo stavi guardando? Svegliati, stai costantemente su un altro pianeta ahahahah”; Giovanni lo guarda e scoppia a ridere, una risata distesa, liberatoria. I due si volevano un gran bene, con il passare degli anni la loro amicizia era divenuta sempre più forte, l’uno non poteva fare a meno dell’altro.Giovanni prende e si sdraia vicino all’amico, da taschino destro dei pantaloni tira fuori uno zippo vintage, a casa ne aveva molti, forse li collezionava, e accende la sigaretta. Paolo subito gli fa: “Giò, come la vedi stà maturità?” e Giovanni: “Sinceramente non lo so, non saprei cosa aspettarmi, però penso di essere preparato”. Paolo aveva una gran paura e voleva essere rassicurato. Non aveva mai studiato più di tanto, in realtà aveva rischiato la bocciatura più di una volta, ma Paolo era un tipo scaltro, uno di quelli che scolasticamente parlando, casca sempre in piedi. In realtà neanche lui sapeva perché le cose gli andassero sempre bene e alla fine riuscisse a venire fuori da ogni situazione, ma questa volta era diverso, era arrivato alla fine dell’anno con tutte sufficienze risicate e poi c’era lei, che quest’anno era interna, la bestia. La chiamavano tutti così la Coccarelli, l’insegnante di latino e greco. Era una signora sui cinquanta, forse qualcosina di più, ma se li portava benissimo, sempre tutta tirata, agghindata e vestita alla moda, mai cafona, di un’eleganza innata. L’aspetto però nulla lasciava presagire del suo carattere. Divorava i suoi studenti, sembrava godesse nel distruggere le medie, in venti anni di insegnamento aveva dimezzato intere classi, bocciando decine e decine di ragazzi, e Paolo era la sua vittima preferita, proprio non lo sopportava, era sempre impreparato, molte volte aveva cercato di bocciarlo negli scrutini di giugno, però non ci era mai riuscita, trovando sempre l’opposizione degli altri professori. Paolo sapeva tutto questo e era conscio che gli altri insegnati avrebbero potuto far poco, con lei interna. Una leggenda urbinate, narra però, che la Coccarelli non fu sempre così, all’inizio della sua carriera era diversa. Secondo la diceria, divenne così acerba e sadica, dopo che, rientrando a casa, trovò suo marito, un ricco industriale di Fano, a letto con una giovane donna. Paolo dopo aver ascoltato l’amico, lo guarda ed esclama: “Meglio parlar d’altro, non vedo l’ora di diplomarmi e di chiudere sto discorso”. Giovanni dopo avergli messo una mano sulla spalla, come per confortarlo, gli dice: “Dai Pà, sta tranquillo, all’università sarà tutto diverso”. Paolo: “ahahahah, si spera, comunque Giò, se mi promuovono, ci facciamo dieci giorni a Ipsos e non sento cazzi”. Giovanni: “ Eh si Pà, te l’ho promesso, però ora pensa a studià”.Ipsos era divenuta da qualche anno la meta vacanziera più ambita da giovani ragazzi e dai neodiplomati, che per festeggiare la maturità si abbandonava ad una settimana di feste, alcol e sesso. Ad Ipsos c’era tutto il divertimento che un adolescente potesse cercare.Vibra un cellulare, è quello di Giovanni, lo sta chiamando Simonetta, la madre, sa quello che vuole, è ora di pranzo. Allora Giovanni: “Dai Pà, ci becchiamo domani, oggi inizio a studiare un po’, vedi di studiare anche tu, non fare come sempre”. Paolo lo guarda e ride, poi: “Ciao Giò, dai ti prometto che ci proverò”.Giovanni si fa tutta la discesa di via Raffaello di corsa, sa di essere in ritardo e non vuole beccarsi la ramanzina della madre. Simonetta, lavorava come bibliotecaria a palazzo Veterani, sede di scienze umanistiche. Aveva conosciuto Francesco, suo marito e padre di Giovanni, durante gli anni di universitari. Lei studiava lettere lì a Urbino, mentre Francesco dava una mano al padre nella gestione della libreria di faglia. Simonetta non era di Urbino, ma di Parma, si era trasferita definitivamente nella città ducale dopo il matrimonio con Francesco.Giovanni arriva finalmente sull’uscio di casa, apre la porta, sono già tutti a tavola, il padre, la madre e Luca il fratellino, sei anni più piccolo di lui. Con le goccioline di sudore che gli scendono dalla fronte, esclama: “Scusate per il ritardo, ero in Fortezza con Paolo e ho perso di vista l’ora”. Francesco: “Può essere che tu debba essere costantemente in ritardo”. Simonetta: “Dai Giò, mettiti seduto che la pasta si fredda”. Tutta quella corsa gli aveva messo una gran fame, divorò la pasta, poi mangiò due fette di pane con il prosciutto ed in fine un bel piatto di insalata. Giovanni, infatti, non riusciva mai a chiudere il pasto senza una bella porzione di insalata, gli piaceva proprio. Alzatosi dalla sedia, si stende sul divano con il fratello, a guardare in tv i canali sportivi. Intanto un intenso profumo di caffè s’irradiava in tutta casa. Simonetta: “Giò, vuoi il caffè?”, Giovanni: “ Si, però senza zucchero, grazie”. Appena finito di bere, il giovane si dirige in camera sua, farfugliando: “vado, mi metto un po’ a studiare”. Giovanni aveva già in mente come organizzare lo studio, dentro di sé ripeteva: “adesso inizio con una bella versioncina di latino, poi passo al greco e se c’è tempo un po’ di matematica”. Indeciso su quale autore trattare, prese il primo volume in fonda al primo scaffale della sua libreria: Cicerone: Difesa di Marco Celio. Sfogliò un po’ il volume apprezzandone la fattura e l’odore che emanava. Giovanni aveva ereditato da suo padre un amore maniacale per i libri, a partire proprio dalla loro estetica. Penso tra sé e sé: “Dai, inizio a tradurre dall’incipit” e così iniziò: “Si quis, iudices, forte nunc adsit ignarus legum iudicorum consuetudinisque nostrae…”. Proseguì nella traduzione per più di un’ora e riuscì ad arrivare sino al capoverso 2.3. Era bravo il ragazzo in latino, le sue versioni fluivano come acqua lungo i fiumi. Erano quasi le 16:00, prese la sigaretta che gli era rimasta, delle due rubate alla madre e uscì in balcone a contemplare quella magnifica giornata, assaporando ogni tiro, come fosse l’ultimo. Rientrando prese da un cassetto nella sua scrivania un taccuino in pelle, sul frontespizio vi era scritto a penna: Quaderni corsari, sicuramente un voluto richiamo agli Scritti corsari di Pasolini, sfoglio rapidamente le pagine e, arrivato al primo foglio bianco, vi annotò:La naturaRannicchiata sulle pendiciun masso staad osservar la vita,come il vecchioguarda il fanciullo,come chidi tanta vita ha già goduto.Sì, Giovanni amava la poesia e ogni tanto, in quel suo taccuino buttava giù qualche pensiero o qualche verso. Riposto il taccuino nel cassetto, andò avanti con l’opera ciceroniana sino alle 17:00, poi dopo un breve spuntino, decise di continuare con il greco. Perse allora dal secondo scaffale della libreria, dove erano riposti i testi greci, uno di quelli che più amava: Il simposio di Platone. Dopo aver tradotto 9/10 righe, vedendo che il tutto scorreva, decise di smettere. Proprio in quell’istante vibrò il cellulare, un messaggio whatsapp, era Paolo: “Giò, ho studiato un po’ con Laura e Filippo, adesso stacchiamo. Ti va di venire in Fortezza?”. Subito Giovanni rispose: “10 minuti, mi cambio e arrivo”. Era tardo pomeriggio e c’era un’afa bestiale, così Giovanni aveva deciso di mettere i pantaloncini corti e la t-shirt che già portava sotto alla camicia. Chiuse la porta e si avviò con passo celere, come era abituato fare, in su per via Raffello. Subito vide i tre lunghi sul prato, Laura guardandolo, scherzosamente gli disse: “madò che fisico Giò”, ma lui come al solito le rispose freddamente: “Guarda che l’ho sempre avuto”, come a farle capire che lui è sempre stato così, ma lei non se ne era mai accorta. Paolo, compresa la situazione cercò subito di sviare il discorso: “Allora Giò, che hai studiato tutto sto tempo?”. Filippo però senza lasciarlo finire disse: “raga, vi prego, basta parlare di studio, parliamo d’altro. Piuttosto, le voci corrono, quest’estate vacanzina ad Ipsos? Ahahah”. Così Paolo subito aggiunse: “Giò, ho detto a loro della vacanza e sarebbero interessati”. Giovanni, un po’ ci rimase male, perché pensava più a una cosa tranquilla, solo lui e Paolo, ma poi aggiunse, celando i sui reali sentimenti: “Bello, allora dopo la maturità iniziamo ad organizzarci”. Subito Filippo: “Ecco Pà, vedi di non fare scherzi, non te fa boccia!”Filippo era poco più alto di Giovanni, snello, di carnagione chiara, con i capelli rossicci, non spiccava per la bellezza, ma era un tipo e stando alle voci scolastiche, ci sapeva fare. Era di Fano, ma erano diversi anni che viveva a Urbino, stava a casa dei nonni paterni. Il padre faceva lo chef, sempre in giro per l’Italia, lui e la madre nei suoi primi 12 anni di vita, lo seguirono sempre: Roma, Faenza, Napoli e Firenze. Poi lei si stufò e decise di mollarlo. Filippo non accettò mai il nuovo compagno della madre e da allora vive con i nonni. Proprio mentre i quattro si stavano alzando, poiché ormai si erano fatte quasi le 19:00, arrivarono Gloria e Martina, altre due ragazze della loro classe, con una cassa di birre piccole. Giovanni voleva tornare a casa per apparecchiare la cena e dare una mano ai suoi, ma Paolo lo pregò di restare altri dieci minuti, così anche lui prese una birra e tutti assieme continuarono a parlare della maturità ormai alle porte.Tornato a casa, Giovanni si mise a parlare con il padre, Francesco gli chiese se avesse avuto bisogno di qualche testo, nel caso glielo avrebbe portato lui direttamente dalla libreria di famiglia. Francesco infatti, dopo essersi diplomato, anche lui al liceo classico, scelse di portare avanti l’attività del padre, rinunciando così a proseguire gli studi.Dopo aver cenato Giovanni giocò un po’ con la playstation con il fratello, poi tornò in camera sua, si sdraiò sul letto e andò avanti con la lettura di Petrolio di Pasolini. Giovanni amava profondamente Pasolini, aveva letto molte sue opere, Ragazzi di vita, Una vita violenta, Amado mio, ma Petrolio gli stava piacendo più delle altre. Erano quasi le 23:00 ed era giunto all’Appunto 55, Il pratone della Casilina, quando leggendo la prima riga: “Carlo, presi questi accordi, fece qualche passo avanti sul prato…” , gli si chiusero gli occhi.Un trillo pose fine al sonno di Giovanni, era la sveglia, erano le 8:00, tirandosi su stropicciandosi gli occhi pensò: “che cazzo, mi sono addormentato con i vestiti addosso, che schifo!”.Subito entrò in camera Simonetta per dirgli che la colazione era apparecchiata e che avrebbe dovuto studiare. Giovanni rispose un po’ stizzito: “e sì mà, lo so che devo studiare”. Poi Simonetta uscì di casa per andare a lavoro. Giovanni, con la celerità di una tartaruga, si trascinò pian piano giù dal letto, era stanchissimo, ma cosciente del fatto che doveva studiare. Alzatosi, si diresse in bagno per una doccia, probabilmente fredda, aveva bisogno di una bella spinta. Uscito da quel gelo polare, aveva la pelle d’oca dappertutto, però almeno era sveglio, pimpante, pronto ad affrontare la giornata. Vestitosi, si mise seduto in cucina ed iniziò a divorare la sua colazione, prima uno yogurt, poi una mela, un mandarino ed infine dei biscotti con del latte di soia, aveva una gran fame quella mattina. Era finalmente pronto, poteva studiare. Non fece in tempo a sistemare le cose sopra la sua scrivania, che il cellulare vibrò, era un whatsapp, era Paolo. Dentro di sé, Giovanni pensò: “Ma adesso che vuole? Strano, lui non si sveglia mai presto, boh”. Nel whatsapp: “Giò, ti disturba se questa mattina studiamo insieme, così mi dai una mano con greco e latino”. A Giovanni, in realtà, un po’ scocciava, perché era conscio del fatto che con Paolo non si sarebbe studiato un cazzo, però alla fine gli rispose: “Ok Pà, vieni tu a casa mia, tanto oltre a mio fratello, non c’è nessuno”. Paolo: “10 minuti e sto su, mi cambio e arrivo, comunque vengo in macchina”. Aveva voluto sottolineare il fatto della macchina, poiché finalmente, dopo la prima bocciatura all’esame pratico di guida, era riuscito ad avere la patente. Intanto Giovanni, mentre aspettava l’amico, decise di preparare il caffè. DRIN…DRIN, era Paolo, che entrando su accolto da quel buon odore di caffè che permeava l’aria. Dopo i consueti saluti, Giovanni esclamò: “Pà, promettimi che studiamo”. Paolo: “Eh sì Giò, te l’ho detto, di greco e latino mi scaco, poi la Coccarelli è interna, non mi voglio mica far bocciare, lo sai che quella non vede l’ora, no?”. Così i due prese le tazzine di caffè andarono in camera. Allora Giovanni chiese: “con cosa iniziamo, greco o latino?”, l’altro rispose: “Latino”. Giovanni prese Cicerone, dicendo: “Dai, allora continuiamo da dove ero rimasto ieri”. Così i due ragazzi iniziarono a leggere: “Ac mihi quidem videtur, iudices, hic introitus defensionis…” Poi Giovanni disse: “famo na frase a testa Pà?”, l’altro: “sì, dai, per me va bene”. Proseguirono spediti con la versione per circa un’ora, poi Paolo disse: “ io faccio una pausa sigaretta, tu?”Giovanni: “Dai vengo anche io, ne hai una?”Paolo: “sì, offro io, ahahahah”Paolo rise di gran gusto, sapeva che Giovanni si dimenticava sempre di comprare le sigarette e che alla fine gliene doveva offrire sempre una.Usciti in balcone Paolo gli chiese, sapendo cosa Giovanni provasse per Laura: “Giò, ma perché con Laura non ci provi? Secondo me le piace, lo vedo da come ti guarda, a volte ti mangia con gli occhi”. Giovanni: “È troppo figa per me, poi a lei quelli come me proprio non le piacciono. Non hai sentito le voci? Ora si frequenta con Aldo, quel coglione del quinto A”. Aldo era il classico pallone gonfiato, poco sale in zucca, tanta grana e tanti followers su instagram.

Aveva scelto il liceo non per voler suo, ma per i genitori. Il padre era stato calciatore, era arrivato a giocare in serie C, e riponeva nel figlio tutte le sue aspirazioni sfumate. La madre era figlia di un grande industriale di Pesaro attivo nel campo del commercio di carni, soprattutto pollame. Aldo aveva iniziato a giocare a calcio da piccolo, il padre fin dalle prime partite lo riempiva di responsabilità, lo obbligava a giocare in attacco, anche se lui preferiva di gran lunga stare dietro, in difesa. Potremmo dire che il ragazzo, si era anche realizzato, calcisticamente parlando, giocare in Eccellenza a soli diciotto anni, non è proprio da tutti. Ma oltre a quello e alle ragazze, non aveva altri interessi, era un ragazzo arido.

Paolo un po’ titubante rispose: “sì Giò, ma se non ci provi non saprai mai la verità, dai non puoi rimanè con sto dubbio”.

Giovanni: “Dai pà, basta a dir cazzate, rientriamo e continuiamo con un po’ di greco”.

Giovanni allora riprese il Simposio che il giorno prima aveva lasciato sopra alla scrivania con il segnalibro inserito e disse: “Dai Pà, fammi vedere come stai messo in greco”. Così i due iniziarono a tradurre. Giovanni andava spedito, mentre Paolo era più impacciato, però in realtà non faceva cosi schifo come diceva sempre la Coccarelli. Non durarono più di un’ora, poi erano quasi le 12:00, così Giovanni gli disse: “resta a pranzo da me, che torni a fare a Fossombrone se tanto sta sera ci dobbiamo incontrare con gli altri”. Paolo non se lo fece ridire due volte e subito accettò. Giovanni poi gli disse: “apparecchiamo la tavola e mettiamo a bollire l’acqua della pasta, così quando i miei tornano, trovano pronto”. Dopo aver preparato il tutto, i due vedendo che era presto fanno qualche partita con la playstation. Paolo era imbattibile a FIFA, oltre a giocare a calcio, era proprio bravo anche nei videogiochi di calcio. Così Giovanni dopo aver perso la terza partita consecutiva, esclamò: “basta, mi sono rotto il cazzo, tanto contro di te non vinco mai”. Proprio mentre stavano spegnendo, ecco aprirsi la porta, erano i genitori. Simonetta subito salutando Paolo disse: “Oh Paolo, che bella sorpresa, come stai?” Poi anche Francesco rientrando, dopo aver salutato, diede una pacca sulle spalle a Paolo, in senso affettuoso. Il tempo di lavarsi le mani e già erano tutti seduti, pronti per mangiare. Paolo conosceva tutti benissimo, in quella casa ci era cresciuto, infatti la frequentava settimanalmente dai tempi delle medie. Paolo era simpatico e sapeva farsi amare da tutti, eccezion fatta per la Coccarelli, lei no, proprio non lo sopportava. Consumato il pasto, come al solito Simonetta chiese chi volesse il caffè e tutti annuirono. La casa si riempì di nuovo di quel buon profumo che a Giovanni piaceva tanto, chiudendo gli occhi immaginava di stare in uno di quei caffè letterari ottocenteschi, come le Giubbe Rosse di Firenze o il Caffè Florian di Venezia. “Giò, ma che ti sei addormentato?” Urlò Paolo, così il giovane tornò con i piedi per terra. Sorseggiato il caffè, i due se ne tornarono in camera, chiusa la porta, Giovanni quasi indiscretamente, come se non fosse da lui, gli chiese: “senti Pà, mi ero dimenticato di chiederti, come va con Elisa? Sei riuscito ad uscirci?” e Paolo: “sì, mi ci sento, mi gusta anche, martedì ci sono uscito, solo che è un po’ una figa di legno, non le ho rubato neanche un bacetto”. Giovanni allora rise di gran gusto, dicendo: “allora non sono l’unico sfigato”. Poi Giovanni convinse Paolo, che già non aveva più voglia di studiare nulla, di ripassare un po’ di storia, iniziarono da quella romana.

Giovanni: “Dai Pà veloce: caduta dell’impero romano d’occidente, cause e effetti, poi mi dici anche quella dell’impero d’oriente”.

Stranamente Paolo seppe rispondere, la cosa destò scalpore anche in Giovanni, che tra sé e sé pensò: “sicuramente ha iniziato a studiare, sta cosa vuol dire solo che sta volta ha veramente paura, pensa realmente che lo possano boccià”. I due continuarono il ripasso di storia per più di un’ora, poi passarono all’algebra e l’aritmetica, ma questa volta dopo mezz’ora mollarono, si erano entrambi stufati. Giovanni essendo partito dal presupposto che con Paolo non avrebbe concluso nulla, era molto soddisfatto di quanto erano riusciti a fare quella giornata, tanto che scoccate le 17:00 disse all’altro: “vedi un po’ che fanno gli altri!”. Così Paolo prese il cellulare e scrisse prima a Filippo e poi a Laura. Si misero d’accordo per trovarsi in Fortezza verso le 17:30, poi più tardi li avrebbero raggiunti anche Gloria e Martina. Una volta giunti in Fortezza, videro subito Laurea e poi da dietro spunto anche Filippo. Subito Laura disse: “scusate ragà, è un problema se dopo ci raggiunge anche Aldo?”. Gli altri si guardarono, poi risposero: “no, no, tranquilla”. Anche se nessuno voleva, non stava proprio simpatico a nessuno. Proprio in quel momento in Giovanni scattò qualcosa, si rese conto che così non poteva andare avanti, avrebbe sofferto troppo a vederli assieme, così si ripromise che prima o poi l’avrebbe presa in disparte e le avrebbe spiegato tutto. Ma fino ad allora non aveva proprio voglia di vederla con quell’idiota, così finse che la madre le aveva mandato un messaggio, in cui gli veniva chiesto di fare la spesa, con questa scusa alle 18:00 prese e se ne andò. Paolo però aveva capito tutto e gli scrisse: “Tranquillo Giò, ti capisco”.

Tornato a casa, per scaricare la tensione, si infilò una tuta, le scarpe da ginnastica, prese ed andò a correre. Non aveva mai corso come in quel pomeriggio, un’ora, forse anche più, era arrivato al quarto giro attorno alle mura del ducato, quando finalmente decise di tornare a casa. Grondante di sudore aprì la porta di casa e il fratellino vedendolo, sclamò: “ma quanto hai corso Giò”. Giovanni rispose con un accenno di sorriso e andò diretto in bagno per farsi subito una bella doccia, non aveva voglia di tenersi quella sudata addosso. Quando uscì, ormai era ora di cena, infatti i genitori stavano apparecchiando, così Giovanni si unì a loro e diede una mano. Francesco gli chiese come fosse andato lo studio e Giovanni tutto soddisfatto gli rispose che Paolo era cambiato e che aveva iniziato a studiare seriamente. Dopo aver cenato Giovanni fece le consuete partite alla playstation con il fratello, poi verso le 21 e 30 andò in camera, si stese sul letto e continuò la lettura di Petrolio, riprendendo proprio da lì dove era rimasto: “Si guardava intorno per scegliere il posto adatto. Ma qui c’erano troppe buche e piccoli monterozzi scoscesi, lì troppe pietre (mescolate a cocci e a immondizia), più avanti il terreno era senza erba, tutto polveroso terriccio”. Andò avanti sino all’Appunto 60, quando, vedendo che gli si stavano chiudendo gli occhi, si infilò il pigiama, poi andò in bagno a lavarsi i denti e si mise a letto.

Quei giorni corsero velocemente tra studio, corsette e chiacchierate con gli altri su in Fortezza. Quando giunse il 19 giugno, il giorno dopo sarebbe iniziata la maturità, quel giorno nessuno aveva voglia di studiare, così verso le 16:00 si ritrovarono tutti in Fortezza, c’era Paolo che si era portato Elisa, Laura però questa volta senza Aldo, poi Filippo, Gloria e Martina, e ancora Giacomo e Giorgio, altri due ragazzi della loro classe. Giovanni passò tutto il pomeriggio con loro. Quando ormai si erano fatte le 20:00, decisero di andare a prendere pizza e birra tutti assieme. Continuarono a bere e a ricordare tutti i bei momenti passati insieme, quando ormai si erano fatte le 22:00 e i ragazzi decisero di tornare a casa.

Era tardi! Giovanni si sbrigò a rientrare a casa, andare in bagno e mettersi il pigiama, però prima di coricarsi, prese il solito taccuino e appuntò:

Notti
Non v’è pace
per chi sa,
di aver saputo troppo,
non v’è tregua
nelle notti
di chi troppo ama,
non v’è riposo
in me
sparuto albatros
nel mar ruggente.

Poi lo chiuse e lo ripose nel solito cassetto. Coricatosi a pancia in su, iniziò a pensare e pensare, si rendeva sempre più conto che stava finendo un periodo importante della sua vita, che sarebbe andato in contro a cambiamenti, che si sarebbe allontanato dalla sua amata Urbino, si sentiva un po’ come il Guido volponiano de La strada per Roma. Si rivedeva in lui nelle lunghe passeggiate tra le vie d’Urbino, si rivedeva in lui nella paura per il trasferimento in un’altra città, e in tante altre cose che non sto qui a sottolineare.

Ormai si erano fatte le 2:00 e Giovanni non riusciva a chiudere occhio, quando, come per magia, si appisolò.

Drin Driiiin. Suonò la sveglia, erano le 6 e 30, Giovanni aveva dormito pochissimo, ma l’adrenalina non gli faceva sentire la stanchezza. Subito si buttò giù dal letto, si infilò le pantofole e andò in cucina a fare colazione. Mise su il caffè, sbucciò una mela e una banana, quella mattina prese più caffè del solito, ne aveva proprio bisogno. Erano le 7 e 15 e lui era già pronto, non voleva arrivare tardi, così salutò i suoi e uscì di casa. Più camminava e più l’ansia lo divorava dentro. Pensava a quale potesse essere il tema dell’esame, sicuramente non avrebbe scelto quello poetico, Giovanni amava la poesia e ne conosceva molta, proprio perché sapeva quanto fosse delicato il tema, decise aprioristicamente che non avrebbe mai scelto quello poetico. Intanto assorto nei suoi pensieri era giunto nei dintorni della scuola, quando scorse Paolo, Filippo e Laura, dentro di se pensò: ”cavolo, sono arrivati prima di me”. Infatti Paolo e Filippo solitamente facevano sempre ritardo, anche nelle occasioni più importanti. Giovanni prima li salutò da lontano, poi si avvicinò, subito Laura gli disse: “dai Giò, se non lo prendi tu sto 15/15 sul tema non lo prende nessuno”.

Nessuno di loro era particolarmente agitato, perché in italiano se la cavavano quasi tutti. Mentre i ragazzi parlottavano, uscì la bidella che iniziò a far entrare i ragazzi scaglionati, Paolo entrò per primo, mentre a Giovanni toccò tra gli ultimi. I professori, una volta che i ragazzi erano tutti seduti, iniziarono a distribuire la prova. Giovanni era insofferente, voleva leggere quelle maledette consegne. Finalmente quella di italiano gli consegnò il foglio, Giovanni subito lo iniziò a leggere:

TIPOLOGIA A – ANALISI DEL TESTO: Claudio Magris, dalla Prefazione di L’infinito viaggiare, Mondadori, Milano 2005.

“No, questa assolutamente no” e proseguì nella lettura delle tracce.

AMBITO ARTISTICO – LETTERARIO: ARGOMENTO: Individuo e società di massa.

Questa gli piaceva, così iniziò a leggere la consegna:

«Nessun centralismo fascista è riuscito a fare ciò che ha fatto il centralismo della civiltà dei consumi. Il fascismo proponeva un modello, reazionario e monumentale, che però restava lettera morta. Le varie culture particolari (contadine, sottoproletarie, operaie) continuavano imperturbabili a uniformarsi ai loro antichi modelli: la repressione si limitava ad ottenere la loro adesione a parole. Oggi, al contrario, l’adesione ai modelli imposti dal Centro, è totale e incondizionata. I modelli culturali reali sono rinnegati. L’abiura è compiuta. Si può dunque affermare che la “tolleranza” della ideologia edonistica voluta dal nuovo potere, è la peggiore delle repressioni della storia umana. Come si è potuta esercitare tale repressione? Attraverso due rivoluzioni, interne all’organizzazione borghese: la rivoluzione delle infrastrutture e la rivoluzione del sistema d’informazioni. Le strade, la motorizzazione ecc. hanno ormai strettamente unito la periferia al Centro, abolendo ogni distanza materiale. Ma la rivoluzione del sistema d’informazioni è stata ancora più radicale e decisiva. Per mezzo della televisione, il Centro ha assimilato a sé l’intero paese, che era così storicamente differenziato e ricco di culture originali. Ha cominciato un’opera di omologazione distruttrice di ogni autenticità e concretezza. Ha imposto cioè – come dicevo – i suoi modelli: che sono i modelli voluti dalla nuova industrializzazione, la quale non si accontenta più di un “uomo che consuma”, ma pretende che non siano concepibili altre ideologie che quella del consumo. Un edonismo neolaico, ciecamente dimentico di ogni valore umanistico e ciecamente estraneo alle scienze umane.» Pier Paolo PASOLINI, 9 dicembre 1973. Acculturazione e acculturazione, in Scritti corsari, Garzanti, Milano 1975

«La mattina del 15 luglio 1927 ero rimasto a casa, non ero andato come al solito all’Istituto di Chimica nella Währingerstrasse. Nel caffé di Ober-Sankt-Veit mi misi a leggere i giornali del mattino. Sento ancora l’indignazione che mi travolse quando presi in mano la “Reichspost” e lessi un titolo a caratteri cubitali: “Una giusta sentenza”. Nel Burgenland c’era stata una sparatoria, alcuni operai erano rimasti uccisi. Il tribunale aveva assolto gli assassini. L’organo di stampa del partito al governo dichiarava, o meglio strombazzava, che con quella assoluzione era stata emessa una “giusta sentenza”. Più che l’assoluzione in quanto tale, fu proprio questo oltraggio a ogni sentimento di giustizia che esasperò enormemente gli operai viennesi. Da tutte le zone della città i lavoratori sfilarono, in cortei compatti, fino al Palazzo di Giustizia, che già per il nome incarnava ai loro occhi l’ingiustizia in sé. La reazione fu assolutamente spontanea, me ne accorsi più che mai dai miei sentimenti. Inforcai la bicicletta, volai in città e mi unii a uno di questi cortei. Gli operai di Vienna, che normalmente erano disciplinati, avevano fiducia nei loro capi del partito socialdemocratico e si dichiaravano soddisfatti del modo esemplare in cui essi amministravano il Comune di Vienna, agirono in quel giorno senza consultare i loro capi. Quando appiccarono il fuoco al Palazzo di Giustizia, il borgomastro Seitz, su un automezzo dei pompieri, cercò di tagliar loro la strada alzando la mano destra. Fu un gesto assolutamente inefficace: il Palazzo di Giustizia andò in fiamme. La polizia ebbe l’ordine di sparare, i morti furono novanta. Sono passati cinquantatré anni, eppure sento ancora nelle ossa la febbre di quel giorno. È la cosa più vicina a una rivoluzione che io abbia mai vissuto sulla mia pelle. […] Quel giorno tremendo, di luce abbagliante, lasciò in me la vera immagine della massa, la massa che riempie il nostro secolo. […] Quel giorno era stato dominato dal tremendo fragore delle urla, urla di sdegno. Erano urla micidiali, alle urla rispondevano gli spari, e le urla diventavano più forti ogni volta che le persone colpite crollavano al suolo. […] Non molto tempo dopo, le urla si trasferirono nelle vicinanze della Hagenberggasse. A meno di un quarto d’ora di strada dalla mia camera, a Hütteldorf, dall’altra parte della valle, si trovava il campo sportivo del Rapid, sul quale si giocavano le partite di calcio. Nei giorni di festa vi accorreva una gran folla, che non si lasciava sfuggire una sola partita di quella celebre squadra. Io non ci avevo mai badato gran che; il calcio non mi interessava. Ma una delle domeniche dopo il 15 luglio, era un giorno altrettanto afoso, mentre stavo aspettando visite e tenevo aperta la finestra, sentii, all’improvviso, le grida della massa. Pensai che fossero urla di sdegno; l’esperienza di quel giorno terribile era ancora a tal punto radicata in me che per un attimo rimasi sgomento e cercai con lo sguardo il fuoco da cui quell’esperienza era stata illuminata. Ma il fuoco non c’era, sotto il sole brillava la cupola dorata della chiesa dello Steinhof. Tornai in me e mi misi a riflettere: quelle urla dovevano venire dal campo sportivo. […] Le urla di trionfo erano state causate da un goal, e venivano dalla parte dei vincitori. Si sentì anche, e suonò ben diverso, un grido di delusione. Dalla mia finestra non potevo vedere nulla, me l’impedivano alberi e case, la distanza era troppa, ma sentivo la massa, essa sola, come se tutto si svolgesse a pochi passi da me. Non potevo sapere da quale parte venissero le grida. Non sapevo quali erano le squadre in campo, i loro nomi non li avevo notati e neanche cercai di appurarli. Evitai perfino di leggere la cronaca sportiva sul giornale e, nella settimana che seguì, non mi lasciai coinvolgere in discorsi sull’argomento. Ma durante i sei anni che trascorsi in quella stanza, non persi occasione di ascoltare quei suoni. Vedevo la folla affluire laggiù, alla stazione della ferrovia urbana. […] Non mi è facile descrivere la tensione con cui seguivo da lontano la partita invisibile. Non ero parte in causa perché le parti neanche le conoscevo. Erano due masse, questo era tutto ciò che sapevo, due masse ugualmente eccitabili, che parlavano la medesima lingua.» Elias CANETTI, Il frutto del fuoco. Storia di una vita (1921-1931), Adelphi, Milano 2007.

«L’uso politico delle tecniche e dei media pone in discussione le tradizioni dell’umanesimo europeo con i suoi valori di dignità e libertà (ristretti, certo, finora, alle élite), minacciando di introdurre nuove forme di pianificato assoggettamento gregario. Esiste cioè il rischio di creare uomini e donne d’allevamento, procurando loro la soddisfazione, in termini soprattutto quantitativi, di bisogni primari e secondari cui per millenni la maggior parte dell’umanità non aveva avuto pieno e garantito accesso (cibo, sesso, divertimento). L’acclimatazione a questo sistema di potere e di cultura si paga però con l’anestetizzazione e la banalizzazione dell’esperienza, anche a causa dell’inflazione dei desideri così scatenata e del corrispondente bisogno di gestire le inevitabili frustrazioni. Nello stesso tempo, se esercitato in forme non oligarchiche, lo stesso uso delle tecniche e dei media spalanca enormi potenzialità, consente a tutti di scaricare le fatiche più pesanti e ripetitive sulle macchine, di uscire dalla morsa dei condizionamenti sociali, di far fruttare l’eredità culturale delle generazioni precedenti (che cambia molto più rapidamente di quella biologica), di disancorarsi da ruoli fissi, di acquisire consapevolezza, cultura e informazione su scala mondiale e di conseguire una più duratura soddisfazione.» Remo BODEI, Destini personali. L’età della colonizzazione delle coscienze, Feltrinelli, Milano 2002.

Giovanni aveva apprezzato a tal punto il tema che decise di non leggere neanche le altre tracce e di buttarsi subito su questa. Iniziò subito a scrivere, di getto, come era sempre stato abituato a fare, come quando scriveva in quel suo taccuino. Questa volta però scrisse anche più velocemente del solito, quel tema lo toccava da vicino: la società di massa, l’omologazione, l’opera d’arte in serie, Andy Warhol, la perdita dei valori e poi c’era lui, Pasolini, il suo preferito. Iniziò proprio partendo dal saggio di Pasolini, mettendo così l’accento su quanto la società di massa e il consumismo avessero spazzato via la cultura e le tradizioni delle piccole comunità rurali.

Scrisse tutto il tema in meno di due ore, poi iniziò a rileggerlo. Giovanni era molto puntiglioso, non era mai soddisfatto di ciò che scriveva, pur avendo una bella scrittura.

Concluse il lavoro e lo consegnò con largo anticipo, firmò, uscì fuori dalla scuola e si accese una sigaretta. Era una splendida giornata, ma tirava un forte vento che sferzava le piante e faceva volare le foglie, Giovanni alzò la testa e guardando il cielo, si rese immediatamente conto che era finita, la prima prova degli esami di maturità segnava la fine della giovinezza, di quel periodo spensierato che mai più tornerà.

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Laureato in Lettere classiche presso l’Università degli studi di Urbino e con Laurea magistrale in Scienze Storiche presso l’Università di Macerata, ha conseguito una Summer school in metrica e ritmica greca presso la Scuola di metrica dell’Università di Urbino (2016).
Nell’ottobre 2022 consegue il Master di primo livello in “Operatore delle biblioteche”. Nel 2022 entra a far parte del Centro studi sallustiani, dell’Unipop di Fermo, del comitato scientifico della
rivista di filologia greca e latina Scholia (didattica), in qualità di vicedirettore e in qualità di socio-amico dell’Aib. Insegna materie letterarie presso l’Istituto di Formazione Professionale Artigianelli di Fermo.
Appassionato di storia greca e romana, e di poesia, ha pubblicato numerose monografie sugli storici latini e alcune sillogi poetiche: La tradizione delle opere sallustiane dai manoscritti agli incunaboli della Biblioteca civica di Fermo, AndreaLivi Editore, 2020; Tito Livio. La fortuna del più grande storico romano, Primicieri Editore, 2021; APPIANO ALESSANDRINO. Dall’età classica all’età contemporanea, Primiceri Editore, 2021; Rufo Festo Avieno, la fortuna di uno storico minore, Arbor Sapientiae editore, 2021; La fortuna di uno storico minore: Lucio Anneo Floro, i manoscritti e gli incunaboli della Biblioteca Civica Romolo Spezioli, Amarganta, 2021; Svetonio. Dall’età
classica all’età moderna. Gli esemplari della Biblioteca civica Romolo Spezioli di Fermo, Primiceri, 2022; Frammenti poetici,BookSprint, 2021; Renzi Riccardo, ἀλήθεια, Sonnino, Edizioni La Gru, 2022; Studi e riflessioni sull’evoluzione del ceto nobiliare: tra la fine del medioevo e la prima età moderna, Primiceri, 2022.

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