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La nostra rubrica di letteratura sovietica ha subito, per ovvi motivi, una battuta d’arresto. Con la mia collaboratrice, però, Sissi Del Seppia, abbiamo deciso che non era giusto. Indipendentemente dagli avvenimenti contemporanei, non è giusto sacrificare una intera cultura e metterne a tacere la sua letteratura. Continuiamo quindi il nostro viaggio, facendoci ancora guidare dalla nostra esperta che ci svela con questo libro uno dei capolavori indiscussi della letteratura sovietica. Perché no, Nabokov non ha scritto solo Lolita.
Introduzione
Per alcuni di noi, ambasciatori di questa meravigliosa cultura, non è stato facile continuare a parlare di Russia. La paura, la rabbia e lo sgomento si sono trasformate in amarezza e silenzio. Sono comunque convinta del fatto che spetti a noi, testimoni di quel mondo, il compito di salvaguardarne la ricchezza. Ho dedicato alla Russia il mio cuore e il mio tempo. Amo senza vergogna quel popolo, quella terra, quella cultura con ogni fibra del mio essere. Oggi torniamo a parlare di letteratura russa perché è giusto parlarne, perché voglio condividere la mia passione, e perché la conoscenza non ha bandiera.
Vladimir Nbokov – l’autore
Vladimir Nabokov, pietroburghese di nascita, cosmopolita per vocazione, epicureo per natura. Non siamo di fronte al classico caso di emigrazione post rivoluzionaria accompagnata dal tipico “ultimo canto del cigno”.
Nabokov, per il suo tempo, è un outsider sin dall’infanzia: figlio di un noto personaggio politico liberale, Vladimir cresce nell’agio osservando i rapporti internazionali del padre. La famiglia “anglofila” soggiorna spesso in Europa negli anni immediatamente precedenti la Rivoluzione cosa che, in seguito, spingerà il nostro a trascorrere i tormentati anni della guerra civile russa nel Regno Unito, dove si dedicherà agli studi umanistici.
Emergono da subito la sua versatilità e il suo innato erotismo, coltiva i più disparati interessi (dall’entomologia alla poesia lirica) e si dedica alla cura della sua fisicità praticando moltissimi sport (tennis, football, boxe etc). In breve, siamo di fronte a quanto di più lontano dal vissuto e dal comportamento del tipico rappresentante dell’intelligencija russa, ma c’è di più: come emergerà nel tanto criticato quarto capitolo del romanzo preso in oggetto oggi, Nabokov sembra porsi in netta contrapposizione nei confronti dell’ascetismo tipicamente russo e dell’impegno culturale del dotto.
Non vestirà mai i panni dell’intellettuale devoto al servizio del popolo, volontà che emerge a chiare note nel trattato su Nikolaj Černyševskij, nel quale l’autore si fa beffe proprio di questi valori, associandoli ad un personaggio storico molto amato, noto appunto per le sue opere, ma soprattutto per l’impegno civile.
Il dono – La genesi
Non parleremo di un romanzo qualsiasi, non parleremo nemmeno del celeberrimo e ultra commentato Lolita, parleremo del Dono. Un’opera che richiede pazienza, esperienza e una buona dose di conoscenze. Un romanzo, ahimè, non per tutti. Un testo che mi sono sentita di suggerire a pochissime persone e che ovviamente non potevo non portare all’attenzione della nostra Guia Bigazzi, che ringrazio ancora una volta per l’invito in questa sede.
Fu scritto tra il 1933 e il 1938, principalmente a Berlino, dove Nabokov visse fino al ’37 con la moglie Vera Slonim, alla quale il romanzo è dedicato. Uscito parzialmente sulla rivista parigina Sovremennye Zapiski tra il ’37 e il ’38 sotto lo pseudonimo di V. Sirin, vide la luce nella sua versione integrale a New York nel 1952 grazie alla casa editrice Cechov. Edito in Russia soltanto nel 1988, sulla rivista Ural.
Il dono – l’opera
Trattasi dell’opera più densa, sontuosa e ricca di Nabokov, l’ultima scritta in lingua russa, un vero e proprio traguardo stilistico, un testamento letterario se vogliamo. Un romanzo che parla di un’opera letteraria e della sua stesura. E’ la storia di un testo che, insieme al suo artefice, cerca il proprio posto del vasto mondo del panorama letterario; è quindi la storia di un uomo, Fëdor Godunov-Čerdyncev, emigrato russo a Berlino, che si cimenta dapprima in una raccolta di poesie liriche, in seguito in un documentario sulla vita del padre entomologo, poi in una monografia su Nikolaj Černyševskij (il famigerato caso del quarto capitolo che i redattori di Sovremennye Zapiski rifiutarono di pubblicare apportando come motivazioni le stesse dei contestatori fittizi all’interno del romanzo!), per approdare infine all’idea della sua vita: “la grande Prosa”. Questo metaromanzo descrive gestazione, maturazione e creazione di diversi generi. E’ un discorso a cuore aperto sulla letteratura in generale ed in particolare. Chi può dire se il “grande romanzo” di Fëdor Godunov non fosse Il dono stesso.
Il dono – Un’analisi
Nel Dono le strutture narrative più complesse coesistono, si intersecano se vogliamo. Il protagonista, forte del suo dono, il dono dell’arte, del talento artistico, si muove in questo caleidoscopio baroccheggiante, in questo fine e sensato caos, frutto della contaminazione di punti di vista, prospettive e piani temporali.
Siamo molto oltre l’Ulysses di James Joyce (che Nabokov lesse nel 1930 e che progettò persino di tradurre). La lezione di Joyce permea il capolavoro di Nabokov. In quest’ultimo, il pensiero simultaneo a piani molteplici si traduce praticamente nell’ellissi (così incomprensibili da far sembrare che l’autore dia per scontata l’onniscienza del lettore ideale, che sia quindi nella testa del narratore, del protagonista, che sia in qualche modo interno alla vicenda), nella personificazione di pensieri, voci ed oggetti inanimati, in sinestesie concettuali/visive davvero complesse.
E’ inoltre saturo di dispositivi metaletterari (opere del protagonista, recensioni di testi, poesie di altri personaggi, aforismi etc.). Il costante passaggio dalla prima alla terza persona, dalla prosa ai versi, rivela la presenza di un narratore superiore che, di tanto in tanto, strizza l’occhio al lettore (o gli fa uno sgambetto, a seconda dei punti di vista) e di una tendenza del protagonista all’autovalutazione (tramite commenti e riflessioni sul proprio operato). Il risultato è sorprendente: un vero e proprio trompe-l’oeil.
Conclusioni
È, come diceva Sissi più sopra, una lettura non per tutti. Ma è una lettura che tutti i lettori forti dovrebbero intraprendere. È una vera esperienza letteraria, più che un romanzo, una prova, un impegno. Chi è abituato a leggere, e a leggere tanto, sarà deliziato dalla gran quantità di sottili rimandi, allusioni e citazioni che riconoscerà.
Le parole dell’autrice dell’articolo nell’Introduzione sono perfette, è ciò che chiunque si trovi in questa stessa posizione sta pensando in questo momento. Al di là del libro in sé, traiamo ispirazione anche da queste parole da sole.
Sono felicissima di aver intrapreso questo viaggio di scoperta all’interno di una letteratura che, sebbene qualche anno fa abbia conosciuto un periodo di notorietà e di “moda”, per la maggior parte rimane ancora pressoché nell’ombra. Ogni nuovo capitolo che aggiungiamo è una rivelazione. Non vedo l’ora di sapere cosa mi farà leggere e conoscere la prossima volta.
Non si deve mai avere paura della letteratura.