L’imposizione della carnalità e l’alternativa della spiritualità

Il bivio, la scelta tra carnalità e spiritualità

Qui in Occidente siamo così materialisti, edonisti,  superficiali, consumisti, vuoti, nichilisti che il memento mori (ricordati che devi morire) non funziona più per spiritualizzarsi ma per peccare di più e di nuovo. E io non ne sono esente, non ne sono escluso. Si arriva alla cinquantina, si è dei babbioni maturi e ci si trova di fronte a un bivio: 1) si farà presto sera, è poco il tempo che resta, perciò devo divertirmi e realizzare le fantasie erotiche che non ho mai avuto il coraggio di realizzare.  Sono i miei ultimi scampoli di vita in cui ho pieno possesso delle mie energie psicofisiche, perciò devo approfittarne. Sono gli ultimi anni e poi sarò anziano. Devo battere il ferro fino a quando è caldo. Non so cosa mi riserva il futuro. Potrei avere un tumore, una demenza senile; potrei essere allettato; potrei morire tra poco. Insomma devo divertirmi. Rimpiangere da anziano le cose che non ho fatto mi immalinconirebbe troppo, mi farebbe troppo male. Fare sesso, divertirsi in modo sfrenato significa stare al passo con i tempi, essere moderni, non rimanere indietro. Tutto sta a non sprecare occasioni, a cogliere l’attimo.   2) devo pregare, pentirmi, confessare i miei peccati, cercare di commetterne il meno possibile perché potrei morire senza essermi ravveduto. 

La prima opzione è quella scelta da buona parte degli occidentali, pur con sensi di vuoto e sensi di colpa dovuti all’educazione cattolica. È la strada di Lorenzo dei Medici, del “domani non vi è certezza, etc etc”, oggi ancora di più volgarizzata perché per molti l’unico piacere o almeno quello considerato molto più importante degli altri è fottere. La seconda via è quella delle persone più religiose e spirituali.

L’aut aut

Cercare di coniugare carnalità e spiritualità è cosa non gradita alla maggioranza delle mentalità presenti sulla faccia della Terra. I più incerti tra dubbi e incognite alternano periodi di spiritualità e periodi di carnalità.  Di solito le due cose dovrebbero essere almeno teoricamente mutuamente esclusive, ci si trova sempre di fronte a questo aut aut: mischiare le due cose è quasi inconcepibile perché per i più religiosi la carnalità, per così dire, è peccato, sporca l’anima, e tutt’al più si può fare il figliol prodigo, vivere per un certo periodo carnalmente, ma poi pentirsi e ritornare all’ovile a capo chino, ritornare in sé dopo essere usciti fuori di sé (ho sempre pensato che il movimento triadico hegeliano originava dal cristianesimo).  Ciò non è caratteristica solo del cristianesimo, quella di mortificare la carne, ma anche in Oriente pensano che chi combina casini carnali si farà pessimo karma, quando morirà uscirà dai piedi e non dalla testa, provando molto dolore, si reincarnerà in specie inferiori. I più carnali pensano nichilisticamente che dopo la morte non ci sarà niente, che questa è l’unica vera vita. I più spirituali ritengono che questa vita terrena sia niente (“i giorni sulla Terra sono come un’ombra” secondo il Libro delle cronache). In ogni caso noi umani ci dividiamo in nichilisti terreni e nichilisti ultraterreni,  ma alla fine vediamo e crediamo nel Nulla sempre.

La rimozione della morte

La paura della morte però a questo mondo viene rimossa da tutti noi in un angolino sparuto e remoto della coscienza, cerchiamo di non pensarci mai. Questa società occidentale cerca di rimuovere la morte, la nasconde ai suoi cittadini. Un tempo c’erano catacombe, cripte, cimiteri come quello delle Fontanelle, che riportano più spesso l’uomo a quello che saremo tutti tra pochi anni  (dato che la vita è breve e passa in fretta),  ovvero dei teschi. Eppure noi guardiamo ai piaceri della carne, anche se la nostra carne è destinata tra poco ad avvizzire, a invecchiare e poi ad essere cibo per vermi. Forse fanno bene quei monaci orientali che vivono da soli e ogni giorno vanno a visitare i teschi dei monaci che prima di loro abitavano quelle mura.

Noi “macchine desideranti” e la possibilità di un’altra vita

La realtà è che noi esseri umani occidentali siamo smarriti, incerti, indecisi tra “non sai cosa ti perdi a non goderti la vita” a “non peccare perché non sai cosa ti aspetta dopo”, tra “godi fino a quando sei in tempo” a “polvere sei e polvere ritornerai”.  La società,  gli altri, i mass media, la pornografia ci sollecitano continuamente a desiderare, a godere, a riposarci e poi di nuovo a desiderare, a godere in un loop incessante, in un circolo vizioso infinito. Il desiderio è mimetico, è sociale. Noi siamo “macchine desideranti”. Ma il mondo desidera la carnalità, il mondo va verso la carnalità, la spiritualità viene relegata ai margini. La carne e non lo spirito, non l’anima viene identificata con l’essenza stessa della vita e della vitalità.  Bisognerebbe ritirarsi in solitudine, cambiare vita per evitare tentazioni, ma la carne è lo stesso debole, si presenterebbero lo stesso le nostre fragilità e forse arriveremo al punto di rottura, dopo mille rimpianti e ripensamenti. Siamo davvero così forti da vivere da soli in ritiro spirituale o finiremo per peggiorare la nostra vita e noi stessi?  Arrivati a una certa età bisognerebbe cercare di vedere come scriveva Battiato “l’alba dentro l’imbrunire”. Ma come scriveva nella sua celebre canzone è molto difficile. 

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Nato nel 1972 a Pontedera. Laureato in psicologia. Collaboratore di testate giornalistiche online, blog culturali, riviste letterarie. Si muove tra il pensiero libertario di B.Russell, di Chomsky, le idee liberali di Popper ed è per un'etica laica. Soprattutto un libero pensatore indipendente e naturalmente apartitico. All'atto pratico disoccupato.

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