Lo tsunami virtuale e il  cervello: quali effetti? 

L’umanità in una visione solipistica?  

La società viene definita come un insieme di individui che occupano un territorio, che interagiscono (i sinonimi di questa parola, “interagire” secondo il motore di ricerca di “sapere Virgilio” sono: influenzarsi, influire, dell’argomento “Influenza sociale” abbiamo parlato in diversi articoli) tra di loro e che attuano atteggiamenti per poter soddisfare i bisogni di ognuno e che sono accomunati da una cultura. Nel corso del tempo le società hanno subito diversi cambiamenti, cercando di adattarsi allo sviluppo economico e politico.

lo tsunami virtuale

La società contemporanea affronta degli Tzunami in cui vede gli individui impegnati ogni secondo della giornata e che non hanno più la nozione del “dolce far niente”, dove, in quel mondo utopico e immaginifico del “dolce far niente” per poter passare il tempo, la mente si ingegnava con creatività e fantasia. Il mondo di oggi, passato con un brusco salto dall’analogico al virtuale, ha creato una generazione di “teste chine” con lo sguardo fisso sullo smartphone, intente a scrollare e chattare. Essere social, non ci rende “esseri sociale”. Immersi con gli altri in completa solitudine. Siamo dunque una società solipistica? 

“Nonostante si discuta della natura cruciale degli esseri umani almeno sin dai tempi di Aristotele, questa conoscenza non ha tuttavia  impedito lo sviluppo di una visione solipistica (solo se stesso, ogni realtà in sé) della natura umana. Il solipsismo quando riferite alla filosofia della mente, implica che per definire cosa sia la mente e come funzioni, ci si debba focalizzare solo solamente del singolo individuo punto tale visione, origine in tempi moderni da Cartesio, ha dominato per decenni in modo in cui la cognizione sociale umana è stata trattata e spiegata, influenzando anche l’iniziale- e quasi esclusiva – enfasi che la psicoanalisi ha storicamente posto sulla dimensione intrapsichica della natura umana.

Secondo l’approccio classico, l’intersoggettività umana si svilupperebbe ontogeneticamente seguendo fasi maturazionali universali, raggiungendo poi la fase finale con l’acquisizione della piena competenza linguistica. Questa visione, in sostanza, equipara la condizione sociale umana alla metacognizione sociale, ossia alla possibilità di riflettere esplicitamente e teorizzare sulla propria vita mentale  in relazione a quella degli altri individui.  Secondo la stessa visione, quando è applicata la filogenesi, tutte le altre specie (inclusi i primati non umani) per orientarsi nel proprio mondo sociale si affidano esclusivamente agli aspetti visibili del comportamento e alla ricorrenza statistica in un dato contesto. Questa visione implica una radicale discontinuità cognitiva tra gli esseri umani e le altre specie animali, efficacemente esemplificata nella metafora del “Rubicone mentale”. Gli esseri umani occuperebbero la sponda dei “lettori della mente”, mentre tutte le altre specie, inclusi i primati non umani, sarebbero combinati sulla sponda dei “lettori comportamento”. […]  

L’essenza della cognizione sociale è connessa alla comprensione del comportamento degli altri nella vita di tutti i giorni, diamo costantemente, ma non sempre consciamente, un senso al comportamento dei nostri partner sociali tuttavia secondo la visione classica, comportamento può essere pienamente compreso solo una volta che lo sia attribuito a qualche stato mentale nascosto” (Ammaniti M., Gallese V., [2014] La nascita dell’intersoggettività, Raffaello Cortina Editore).   

Elogio alla lentezza 

Un’involuzione umana lenta, in un’evoluzione digitale troppo rapida? Cosa succede al cervello?  

Lamberto Maffei direttore dell’istituto Neuroscienze del CNR nel suo libro “Elogio alla lentezza” scrive così: “Dimentichiamo che il cervello è una macchina lenta e questo desiderio di emulare le macchine rapide create da noi stessi diventa fonte di angoscia e di frustrazione, mentre, come scriveva Goethe, la felicità suprema del pensatore è sondare il sondabile e venerare in pace l’insondabile. […]  

L’era digitale è l’era del discreto, con riferimento soprattutto ai mezzi della comunicazione; in essa anche il linguaggio perde la continuità dei suoni, e si fa rapido, frammentario, frantumato da molti codici comunicativi delle diverse categorie di individui: i messaggi si fanno sintetici, come segnali digitali. […]  

I valori vengono messi da parte non perché non siano validi, ma perché non sono rilevanti. In una parola i valori hanno perso valore. Alla bulimia dei consumi si è associata una grave anoressia delle idee e purtroppo anche dei comportamenti una volta ritenuti civili, morali. Il pensiero rapido non guarda né al passato né al futuro, non considera la loro valenza né storica né di programma, non ha tempo per rifletterci, e ritiene che questo lavoro della mente riguardi il campo dei metapensieri da relegare nei giorni piovosi, quando non c’è di meglio da fare. […]  

Infatti il pensiero lento è un pensiero pesante da portare, che trascina con sé il fardello della memoria e il peso dei dubbi e le incertezze dei ragionamenti. […]  

Si arriverebbe al paradosso che la globalizzazione, ultimo traguardo della civiltà, potrebbe produrre un’involuzione cerebrale.  

I neuroni specchio  

Eppure sembra che da questa evoluzione digitale non possiamo esimerci. Esiste una classe di neuroni nel nostro cervello, distribuiti nelle varie zone cerebrali: i Neuroni Specchio che si attivano involontariamente quando un soggetto compie un’azione finalizzata e permette al soggetto di riprodurre schemi motori emozionali e comportamentali osservati in altri soggetti:  

“Per diversi decenni lo studio neurofisiologico del sistema motorio corticale dei primati normali si è concentrato principalmente sullo studio delle caratteristiche fisiche elementari del movimento, come forza, direzione e ampiezza. Tuttavia, lo studio neurofisiologico della corteccia motoria ventrale della corteccia parietale con un imprevedibile posteriore delle scimmie macaco ha messo in evidenza che il sistema motorio corticale gioca un ruolo importante nella cognizione. In particolare, è stato dimostrato che il sistema motorio corticale è  funzionalmente organizzato in termini di scopi motori. La parte più anteriore della corteccia premotoria ventrale della scimmia macaco, area F5 (Matelli, Luppino, Rizzolati, 1985) controlla i movimenti della mano e della bocca (HeppReymond et al., 1994; Kuturata, Tanji, 1986; Rizzolati et al., 1981  Rizzolati et al., 1988). La maggior parte dei neuroni di F5, similmente ai neuroni di altre regioni del sistema motorio corticale (Alexander, Crutcher, 1990; Kakei, Hoffman, Strick, 1999, 2001; Sheen, Alexander, 1997), non scarica in associazione all’attivazione di specifici gruppi di muscoli durante l’esecuzione di movimenti elementari ma è attivata durante atti motori – movimenti eseguiti per raggiungere uno specifico scopo motorio – come afferrare, strappare, tenere o manipolare oggetti (Rizzolati et al., 1988; Rizzolati, Gallese, 1997; Rizzolati, Fogassi, Gallese, 2000). I neuroni motori dell’area F5 non codificano i parametri fisici del movimento, come la forza o la direzione, bensì la relazione pragmatica tra l’agente e l’obiettivo dell’atto motorio. I neuroni di F5 in realtà si attivano solo quando un particolare tipo di relazione effettore-oggetto (per esempio mano-oggetto, bocca-oggetto) viene eseguito fino a quando questa relazione porta a uno stato diverso (per esempio impossessarsi di un pezzo di cibo, gettarlo via, romperlo, portarla alla bocca, masticarlo eccetera). Una seconda categoria di neuroni motori dell’area F5 è composta da neuroni multimodali che scaricano quando la scimmia osserva un’azione eseguita da un altro individuo e quando esegue la stessa o una assimilazione. Questi neuroni sono stati denominati Neuroni Specchio (Gallese et al., 1996; Rizzolati et al., 1996; Rizzolati, Gallese, 1997; vedi anche Kraskov et al., 2010). […]  

Il principale elemento che innesca la risposta dei neuroni specchio durante l’esecuzione e l’osservazione di un’azione è l’interazione tra gli effettori del corpo dell’agente, come la mano o la bocca, e l’oggetto: i neuroni specchio della scimmia non rispondono né durante l’osservazione di un oggetto da solo né alla vista di una mano che mima un’azione senza un obiettivo (Gallese et al., 1996). L’intensità della scarica dei neuroni specchio di F5 è significativamente più forte durante l’esecuzione dell’azione che durante l’osservazione dell’azione. Ciò suggerisce che il meccanismo specchio non è opaco al problema dell’agentività, ossia al problema di chi sia l’agente e di chi sia l’osservatore all’interno della relazione sociale diadica. Pochi anni dopo la loro scoperta, i neuroni specchio sono stati interpretati come l’espressione di una forma diretta di comprensione dell’azione. L’esistenza per il meccanismo specchio è ora ampiamente riconosciuta anche dal cervello umano, l’osservazione dell’azione attiva aree premotorie e parietali posteriori, probabilmente omologhe a quelle della scimmia in cui sono stati originariamente descritti i neuroni specchio. Il meccanismo specchio per l’azione dell’uomo è grossolanamente organizzata a livello somatopico; le stesse regioni per motorie e parietali posteriori, normalmente attivate quando eseguiamo atti correlati alla bocca, alla mano e al piede vengono attivate anche quando osserviamo gli stessi atti e motori eseguiti dagli altri (Buccino et al., 2001 vedi anche Cattaneo, Rizzolati 2009). Guardare qualcuno afferrare una tazza di caffè, mordere una mela o dare un calcio a un pallone attiva nel nostro cervello le stesse regioni corticali che si attiverebbero se stessimo facendo le stesse azioni (Ammaniti, M. Gallese, V. (2014) La nascita dell’Intersoggettività, Raffaello Cortina Editore). 

Gli adolescenti e il mondo virtuale  

La spiegazione dei Neuroni Specchio è indispensabile per capire, quanta emulazione c’è nel gruppo dei pari.  

Gli adolescenti di oggi “fragili” e “spavaldi” (Pietropolli Charmert, 2009) nella loro connessione wi-fi costante hanno strutturato un contenitore mnemonico caratterizzato dai ricordi privi della possibilità di comunicare e di relazionarsi all’altro senza l’ausilio del digitale. La nuova comunicazione virtuale, fatta di chat, instant messaging (IM), di note audio, di video, di screenshot, di avatar dinamici, di commenti di post, si è affiancata, molto spesso sostituendola, alla comunicazione verbale connettendosi sempre più a una sorta di ragnatela strutturale tra realtà esterna e realtà virtuale, fino ad arrivare a generare un “groviglio comunicativo” che, da una parte, può ancora creare disorientamento negli adulti, mentre dall’altra eliminando il contatto vis à vis, taglia in modo netto alcuni canali comunicativi e ne amplifica altri, creando un terreno fertile per meccanismi difensivi che si inseriscono in modo esponenziale nella relazione e tra le relazioni.

lo tsunami virtuale

Lo sguardo dell’altro e sull’altro è mediato dal touch e dallo schermo, le relazioni stesse si instaurano scrollando le dita sullo smartphone, arrivando a osservare la realtà da lontano dietro la tutela dello schermo, che agisce emblematicamente da protezione o da amplificatore della propria individualità e di quella del gruppo nella Rete e tra le reti.[…] Lo tsunami virtuale rappresentato dall’evento di Internet e delle sue innumerevoli ramificazioni tecnologiche è divenuto, nel corso degli ultimi decenni, talmente rilevante da far considerare il Web come uno dei più importanti strumenti accademici, lavorativi e ricreativi per giovani e adulti (Ko et al., 2012), mutando profondamente aree significative dell’universo personale di ognuno di noi: il lavoro, il divertimento, l’apprendimento, la comunicazione, le relazioni (Leung, Lee, 2005). Le potenzialità di questo nuovo strumento tecnologico, pur costituendo una risorsa rilevante, se utilizzata in modo inappropriato, possono tuttavia farci correre il rischio di rimanere “intrappolati nella Rete” come viene emblematicamente rivelato  dalle parole di Nicholas Carr, che la consapevolezza dell’adulto traccia l’insidioso e silente percorso verso la dipendenza  dal web. (Volpi, B. «a cura di» (2021) Gli adolescenti e la rete, Carocci Editore). 

Internet: dall’uso all’abuso 

Come abbiamo visto, il mondo virtuale si rappresenta, in modo lillipuziano, come una miniatura del mondo reale, proponendo una varietà di stimoli o di pericoli che  devono essere riconosciuti e compresi per navigare con consapevolezza negli infiniti meandri della Rete perché, come sottolinea Rheingold, a conclusione delle sue indicazioni per un utilizzo costruttivo della Rete (Rheingold, 2013  p. 364): “non abbiamo garanzie sul futuro. Senza conoscenza o impegno non otterremo nulla”. 

Secondo Young (1998a, 1998b), a cui dobbiamo, come abbiamo visto, una delle prime formulazioni nei disturbi correlati a Internet, esistono dei fattori che ne facilitano  e/o predispongono l’insorgenza. Questi fattori vengono incanalati nelle dinamiche di soddisfacimento e gratificazione adolescenziale, evidenziando l’assoluta necessità di un’attenzione particolare focalizzata in questo periodo evolutivo. In quest’ottica, infatti, le tre caratteristiche peculiari dell’uso della Rete enucleate da  Young  (1998a, 1998b) possono agire da amplificatore di dinamiche adolescenziali particolarmente rilevanti che, se non gestite con equilibrio, possono sfociare in un disturbo che denuncia un uso inappropriato del Web. La Rete propone modalità di azione in cui, di fronte allo schermo del pc o dello smartphone, ci si può confrontare con: 

·       L’accessibilità (la facile e immediata accessibilità ogni servizio, con gratificazione immediata di ogni piccolo bisogno); 

·       Il controllo (che si può esercitare sulle proprie attività online, non disgiunto da un irreale percezione di onnipotenza); 

·       l’eccitazione  (la straordinaria quantità di stimoli a cui è possibile sottoporsi e il conseguente stato di eccitazione che può facilmente essere perseguito). 

Il tutto e subito tipico delle nuove generazioni viene soddisfatto dall’immediatezza e dal ritorno delle informazioni, mentre l’aspetto di controllo onnipotente delle proprie azioni viene garantito da avatar multidimensionali che governano stati di eccitazione che il multitasking può facilmente fornire, andando a ledere l’attenzione focalizzata che, e uno degli elementi principali di un corretto apprendimento. 

I livelli evolutivi dell’abuso di Internet sono: dipendenza, regressione, dissociazione (Fonte: Cantelmi, Talli, 2007) 

(Volpi, B. «a cura di» (2021) Gli adolescenti e la rete, Carocci Editore). 

Floridi e La quarta rivoluzione 

Floridi ha coniato un termine che descrive e racchiude un po’ tutti i giovani di oggi: Onlife, che vuol dire semplicemente la vita on line. Luciano Floridi nel suo libro “La quarta rivoluzione” – Come l’infosfera sta trasformando il mondo, scrive così: Qualche tempo fa, ho conosciuto un brillante e vivace e studente appena laureato, che si era registrato su Facebook nell’anno accademico 2003/04, quando era studente a Harvard. Il suo numero identificazione su Facebook era il 246. Impressionante. Un po’ come essere la duecentoquarantaseiesima persona ha sbarcare su un nuovo pianeta. I numeri di identificazione scomparvero da Facebook nel 2009, quando il social network adottò la pratica più intuitiva di registrare i nomi degli utenti, per facilitare la ricerca delle persone. Il cambiamento si rese necessario perché, in pochi anni, il pianeta Facebook era diventato piuttosto affollato. Allo studente menzionato sopra si erano infatti rapidamente aggiunti centinaia di milioni di utenti in tutto il mondo. Nel 2010 ne contava già mezzo miliardo e il miliardo fu superato nell’ottobre 2012.

Questa storia è un buon modo per ricordarci che un numero sempre più elevato di persone trascorre una  quantità crescente di tempo a diffondere notizie sul proprio conto, interagendo digitalmente con altre persone (avvalendosi delle tre fondamentali operazioni: leggi/ scrivi/ esegui), entro un infosfera che non è né interamente virtuale né soltanto fisica. Ci ricorda bene quanto le ICT come tecnologie del sé sono diventate importanti nel dare forma alle nostre identità personali. Si tratta infatti delle più potenti tecnologie del sé alle quali siamo mai stati esposti. Naturalmente, dovremmo gestirle con attenzione, poiché stanno modificando in maniera significativa i contesti e le pratiche attraverso le quali diamo forma a noi stessi. Il punto merita di essere chiarito. Nella filosofia della mente vi è una ben precisa distinzione tra chi siamo – vale a dire, la nostra identità personale – e chi pensiamo di essere – vale a dire, la nostra concezione di sé. È inutile dire che vi sia una cruciale differenza tra essere Napoleone e credere di essere Napoleone. I due sé – la nostra identità personale e la nostra concezione di sé – fioriscono solo se si sostengono l’un l’altro in una mutua e salutare relazione. Non soltanto la nostra concezione di sé dovrebbe essere vicina informata da ciò che siamo, ma anche le nostre reali identità personali dovrebbero essere sufficientemente malleabili da essere influenzate in modo significativo da ciò che pensiamo o vorremmo essere.

Se, per esempio, uno ritiene di essere sicuro di sé, è probabile che lo diventi. Le cose si fanno più complicate dal momento in cui la concezione che abbiamo di noi diviene, a sua volta, sufficientemente flessibile da essere plasmata dal modo in cui siamo descritti da altri in cui vorremmo essere percepiti. Questa è una terza accezione in cui parliamo del “sé”. Si tratta del sé sociale, che Marcel Proust ha tratteggiato in modo estremamente importante nel passaggio che segue: Persino nei più insignificanti dettagli della nostra vita, non siamo un tutto costituito materialmente, identico per tutto il mondo e di cui ciascuno potrebbe avere conoscenza come di un quaderno delle spese o di un testamento; la nostra personalità sociale è una creazione del pensiero altrui. Anche l’atto così semplice che definiamo come vedere qualcuno che conosciamo è, in qualche misura, un atto intellettuale. Riempiamo l’apparenza fisica dell’essere che vediamo con tutte le nozioni che abbiamo su di lui e, nella raffigurazione totale che ci rappresentiamo, tali nozioni hanno certamente la parte principale. Esse finiscono per disegnare così perfettamente le sue spalle, per seguire in modo così aderente la linea del suo naso e si fondono così armoniosamente nella sua voce come se non fossero che una busta trasparente, che ogni qualvolta vediamo il suo volto e ascoltiamo la sua voce, sono queste nozioni che ritroviamo e ascoltiamo. (Floridi, L. , 2017, La quarta rivoluzione” – Come l’infosfera sta trasformando il mondo, Raffaello Cortina Editore).   

Conclusioni  

Un tempo lontano, ma non molto, la cosa che più piaceva agli esseri umani, era ascoltare le storie che i loro genitori, o i loro nonni, raccontavano davanti a un camino acceso, in compagnia della famiglia e delle buone castagne da sgranocchiare. Racconti tramandati da generazioni, leggende affidate alle orecchie di figli e nipoti, narrati anche nelle calde sere estive, nelle campagne, con il sapore di uva nell’aria e il soffice vento che trasportava le parole, l’odore di erba tagliata, il canto delle pigre cicale e osservare i fili d’erba che si illuminavano di stelle in terra: le lucciole inebriavano la vista. Racconti rivelati sotto una quercia, quando il signor Inverno lasciava il posto alla primavera, e via, via la neve nei prati si andava sciogliendo e il sole faceva capolino tra le nubi eccentriche e irragionevoli. La fantasia volava, creando miti, chimere, eroi, personaggi, che sarebbero sopravvissuti ai capricci del tempo. 

Ecco, forse è lì che dovremmo tornare. Tra le parole e le pagine dei libri.  

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Dott.ssa in Discipline Psicosociali. Illustratrice, autrice di libri per bambini e fantasy, racconti, poesie, romanzi. Finalista 2017 del concorso Fiction e Comics, de Ilmiolibro, Gruppo Editoriale l’Espresso con il libro “C’Era Una Volta”. Libri pubblicati sullo stesso sito, Desideri Cristina ilmiolibro.it. Vincitrice del Secondo premio Internazionale di Poesia e Narrativa, Firenze Capitale D’Europa con “La bambola di Giada”. Racconti e favole sono stati inseriti in raccolte antologiche in quanto vincitori di concorsi, quali “Parole d’Italia, Racconti brevi di vecchi e nuovi italiani” indetto dalla Regione Lazio, la favola “Le stelle” selezionata dalla Scuola Holden per DryNites. Vincitrice di svariati concorsi letterari. Ha collaborato con la Montegrappa Edizioni e, per la stessa, ha ideato e curato sette concorsi letterari. Ha illustrato il libro “Sogni e Favole” del romanziere Giuseppe Carlo Delli Santi. Con la Pav Edizioni ha pubblicato il romanzo per la collana psicologica-thriller "La collezionista di vite”. Per la Pav Edizioni e in collaborazione con Gabriella Picerno, psicologa e scrittrice cura le collana 1000 Abbracci. Per la GD Edizioni è co-direttrice (insieme a Gabriella Picerno) della collana pedagogica “Il filo di Arianna”. Cura i concorsi letterari “La Botteguccia delle Favole”, “Lo Zaino Raccontastorie”. Autrice per il blog “Il Mago di Oz”.

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