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A scuola di guerra
L’esistenza stessa della scuola e dell’istruzione di massa è forse la più importante arma, in mano al potere, per soverchiare la naturale predisposizione alla libertà e plasmare obbedienti sudditi. Sudditi che possano accettare, fin dalla più tenera età, lo stato delle cose degli Stati. Negli ultimi anni, l’istruzione italiana sta concentrando sempre maggior tempo e risorse a raccontare a ragazze e ragazzi la bellezza del militarismo e del bellicismo. (Vi invito a seguire gli articoli di Antonio Mazzeo che ne parla con competenza e costanza) Questo atteggiamento ci pone delle domande retoriche alle quali è però necessario dare una risposta pronta e comunitaria. Spero che queste righe possano portare a una convergenza tra collettivi, le persone e i movimenti che ritengono come accettabile una sola guerra; la guerra alla guerra.
I prossimi punti fungono anche da motivazioni, di certo non esaustive, per le quali è necessario ribellarsi e respingere con forza la cultura della guerra e delle armi, difendendo la pace e chi la pratica (a partire dai disertori).
Il primo rifiuto imprenscindibile e categorico è diretto alla partecipazione a eventi, gite scolastiche e programmi di alternanza scuola-lavoro presso basi militari o industrie del comparto militare. Va respinta l’intrusione delle istituzioni e delle industrie militari nelle scuole. Bisogna anche costruire una rete di denuncia dei suddetti eventi e di mutuo appoggio per le possibili conseguenze che subiranno studentesse e studenti che li rifiuteranno.
“La scuola imprigiona i bambini fisicamente, intellettualmente e moralmente, per dirigere lo svilippo delle loro facoltà nel senso voluto; Educazione significa oggi domare, addestrare, addomesticare. Si ha una sola idea molto precisa e una volontà: far sì che i bambini siano abituati a obbedire, a credere e a pensare secondo i dogmi sociali che reggono. ”
Francisco Ferrer y Guardia
Rifiuto assoluto delle basi militari
Esprimere ferma contrarietà a qualsiasi forma di collaborazione o coinvolgimento con basi militari. Questi luoghi sono simboli di oppressione, violenza e sfruttamento. Non sono accettabili eventi o gite scolastiche che promuovano o normalizzino la cultura della guerra e delle armi. La pace va costruita rifiutando la guerra in ogni sua sfaccettatura.
Condanna dell’industria bellica
Le industrie del comparto militare continuano ad affondare le loro velenose radici nella formazione. Le scuole rimangano al sicuro da tentativi di reclutamento e da propaganda di imprese che lucrano sulla distruzione e sulla morte. L’industria bellica è responsabile di ingenti danni umani ed ecologici. Secondo il SIPRI, nel 2020, le spese militari globali hanno raggiunto i 1,98 trilioni di dollari, una somma smisurata che potrebbe essere destinata a garantire il benessere sociale e a fronteggiare la crisi climatica.
Promozione di alternative radicali
Occorre pensare e promuovere – sfruttando lo stesso tempo che l’istituzione vuole destinare alla cultura della morte – alternative e pratiche radicali. Bisogna sfruttare canali di contro-informazione, attività, eventi e workshop per mettere in luce le devastanti conseguenze del militarismo e delle guerre. La cultura della guerra serve solo ad accettare come ineluttabili le disuguaglianze sociali che essa stessa genera. Le ricadute negative del bellicismo internazionale sono ricadute di classe. È paradossale e paradigmatico constatare come il potere voglia sibillinamente giustificare la guerra e le spese militari come una questione di sicurezza per la vita delle fasce medio-basse. Anche in contesti distanti dagli scenari di guerra. Le fasce basse sono in maniera direttamente proporzionale meno sicure a ogni nuovo proiettile prodotto, venduto, esploso. Le industrie militari, oltre a causare sofferenze umane, contribuiscono anche all’aggravarsi della crisi climatica, consumando risorse e generando emissioni di gas serra.
Collegamento tra fenomeni migratori e crisi climatica
Ignorare il collegamento intrinseco tra le guerre, le industrie militari e i fenomeni migratori, nonché la crisi climatica è impossibile. I conflitti armati causano instabilità regionale e violenze, spingendo le persone a fuggire dalle proprie case. Secondo l’UNHCR, nel 2020 c’erano oltre 82,4 milioni di persone sfollate nel mondo a causa dei conflitti e delle violenze. Inoltre, l’industria bellica è uno dei maggiori consumatori di energia. La militarizzazione, depauperando i territori per svenderli alle esigenze del capitale, trasforma la naturale propensione umana allo spostamento in una questione di sopravvivenza. Questione che nei prossimi decenni riguarderà anche le fasce basse nelle nostre aree geografiche. L’industria bellica è responsabile di un’enorme distruzione ambientale. Ad esempio, durante la produzione di armi vengono utilizzate quantità ingenti di risorse naturali, come metalli rari e combustibili fossili. Il consumo intensivo di energia e le emissioni di CO2 contribuiscono all’aumento delle temperature globali e all’accelerazione dei cambiamenti climatici, con conseguenze disastrose per l’ambiente e per la vita delle persone. Nella base militare di Quirra, in Sardegna, si sono verificati diversi incidenti che hanno causato gravi danni all’ambiente circostante. Negli anni ’90, un’esplosione accidentale ha rilasciato una nuvola di uranio impoverito e sostanze chimiche tossiche nell’atmosfera, contaminando l’aria, il suolo e le risorse idriche della zona. Questo incidente ha avuto conseguenze devastanti per la salute delle persone e per l’ecosistema locale. Le esercitazioni militari, specialmente quelle che coinvolgono esplosioni o l’uso di armi ad alta potenza, generano un’intensa esposizione al rumore che può avere un impatto significativo sugli animali selvatici. Il forte rumore delle esplosioni e dei colpi di arma da fuoco può causare stress, disorientamento e persino la morte degli animali presenti nell’area circostante. È necessario promuovere una maggiore consapevolezza sui danni ambientali derivanti dal militarismo e lavorare per una cultura di pace olistica e antispecista.
Non ci sono soldi???
Le enormi spese militari impoveriscono la popolazione contraendo la spesa pubblica e il Welfare. Nel 2020, l’Italia ha speso circa 26,7 miliardi di euro in spese militari, secondo il SIPRI. Queste risorse potrebbero essere meglio impiegate per migliorare i servizi sociali, l’assistenza sanitaria e affrontare la crisi climatica. Dobbiamo spostare le risorse finanziarie e umane dalla cultura della guerra e delle armi al sostegno ai bisogni delle persone. Indipendentemente da quelle che sono le capacità delle persone stesse definite dal sistema. L’ipocrisia del “non ci sono soldi” e dei sacrifici richiesti solo ai più deboli non è più sostenibile.
Unendoci nella lotta contro la cultura della guerra e delle armi, promuoviamo la consapevolezza, l’autodeterminazione e l’azione diretta. Sosteniamo la costruzione di una società basata sulla pace, sulla giustizia sociale e sulla difesa del nostro pianeta. Solo attraverso l’abolizione delle istituzioni militari e il superamento della logica del conflitto – rami del tristo albero del potere – potremo costruire un futuro di libertà, uguaglianza e solidarietà.