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Dove i cani abbaiano in tre lingue” è un romanzo scritto da Ioana Pârvulescu ed edito dalla casa editrice Humanitas, tradotto da Anita Polacchi in italiano e pubblicato dalla Voland nel 2023.
Ioana Pârvulescu
L’autrice è docente alla facoltà di lettere di Bucarest, responsabile editoriale per Humanitas, redattrice della rivista “România liberara”. Con la Voland ha vinto nel 2013 il premio dell’Unione Europea per la letteratura. Autrice di svariati saggi e di romanzi tradotti in più di 10 lingue.
Anita Polacchi, la traduttrice di “Dove i cani abbaiano in tre lingue si è laureata dapprima in Italia e poi in Romania e si è dedicata allo studio della cultura romena. Ha lavorato per diversi istituti come traduttrice tra cui “L’Istituto Romeno di Cultura e Ricerca Umanistica” a Venezia. Ha tradotto diversi romanzi.
Tutti i grandi sono stati bambini una volta. Ma pochi di essi se ne ricordano.
Antoine de Saint-Exupéry
Dove i cani abbaiano in tre lingue è un viaggio profondo e lontano, dove l’autrice ripercorre la sua infanzia, sfidando i suoi ricordi. La attraversa con gli occhi di un adulto, ma respirando l’aria come la bambina qual era, senza perdere nemmeno un istante quelle emozioni provate e vissute appieno. La protagonista del romanzo si chiama Ana ed è la più piccola di un gruppo formato da quattro bambini tra fratelli e cugini: Dina, Doru, Matei e appunto, Ana. Vivono insieme in via Majakovskij divenuta nel corso del tempo via San Giovanni, poi ancora Majakovskij e poi di nuovo San Giovanni.
La casa
Una casa che ha un cuore, un’anima, polmoni, cervello, reni e il fegato. L’autrice descrive così la casa: “A quel tempo per me le case avevano una faccia, una faccia umana […] le case mi si mostravano con molte forme, ma avevano sempre un volto umano […] Un luogo sempre giovane e attraente, un luogo da esplorare, senza difetti, senza limite, senza morte. A quel tempo non sapevo neanche morissero le persone, figurarsi le case o le città, le civiltà e le stelle. Ma la vita si preparava a mostrarmi che così non è. Mi ci è voluto una vita a impararlo: nulla è come credi […] e ho capito che le persone soffrono quando la loro casa muore. E che pure la casa soffre quando muore una persona”.
L’infanzia a Brasov
In questo viaggio a ritroso nel tempo, l’autrice descrive non solo le avventure affrontate dai bambini, ma per certi versi ricostruisce, attraverso gli adulti, usi e abitudini di una nazione: attraverso i nonni, gli zii, i prozii, i genitori, ma anche gli abitanti di Brasov, città nella regione romena della Transilvania, circondata dai Carpazi, nota per le mura e le roccaforti medievali sassoni, per l’altissima Chiesa Nera in stile gotico di cui l’autrice ci parla. La prozia Magda, una donna forte, “più degli uomini”, o almeno così la descrive l’autrice, che tutti chiamano Tanti, insegnante di geografia, sembra essere il perno dei quattro avventurieri, un punto di riferimento pronto a donare risposte ai loro enigmi, disponibile all’ascolto, spesso li deliziava di racconti a volte reali, altre immaginari, ma sempre e comunque incline a insegnare qualcosa.
La trama fitta di eventi è tutta da scoprire. Tuttavia, “Dove i cani abbaiano in tre lingue, non è soltanto un intreccio di storie tra adulti e bambini dove si descrivono gli usi e i costumi di una nazione. È molto di più. È un viaggio nel passato come tempo storico, nel comunismo della Romania. E non solo. Descrive i primi passi dell’uomo sulla Luna, la deportazione del vicino di casa in gulag (campo di concentramento e di lavoro coatto per prigionieri politici in Unione Sovietica) nel Donbass, quella del prozio in Siberia, talvolta viene citato Stalin, soprattutto in quel periodo quando Brasov venne ribattezzata come il leader russo.
Tutte le piccole vicende, gli episodi vissuti e raccontati dai variegati personaggi che fanno da contorno alla nostra piccola eroina, portano anche indietro nel tempo, nel tempo, tra gli anni ’40 e ’60, periodo interbellico dove sono collocate le vicissitudini dei genitori, prozii e nonni. L’autrice ci regala anche uno scorcio storico atroce: la vista dal finestrino del treno del canale quando la protagonista durante un viaggio ascolta i grandi che usano “un tono particolare”, indecifrabile. Con leggerezza di tocco, senza andare a toccare la delicatezza della storia narrata fino a quel punto, ci ha raccontato dell’impiego della manodopera forzata sul canale che unisce il Danubio al Mar Nero, ribattezzato “canale della morte”.
Il titolo del libro
Il titolo originale del libro, pubblicato dalla Humanitas nel 2016 è: “Innocenți”. Tale titolo è dovuto per tre ovvie ragioni, che si carpiscono alla fine della lettura del libro: per l’innocenza dello sguardo dei bambini sul mondo; “L’Innocente” è anche il titolo di un episodio della serie televisiva di fantascienza “Gli invasori”, dove il personaggio è l’eroe dei quattro protagonisti della storia e di cui ne emulano le gesta nei loro giochi – tra i loro giochi c’era anche quello di diventare i personaggi delle storie lette, dei romanzi, appunto delle serie Tv –; l’ultima motivazione di tale titolo, non la meno importante, ma puramente molto personale, è un ricordo legato al padre della scrittrice/protgonista, prematuramente scomparso – scomparsa che porta all’autrice una sofferenza profonda –, il regalo prezioso di un padre fatto a una figlia: un libro con disegni e poesie e frammenti di libri da bambini: “Antologia dell’innocenza”.
La scelta di cambiare il titolo della edizione italiana della Voland: “Dove i cani abbaiano in tre lingue”, riprendendo il titolo della edizione tedesca, è per il semplice motivo è che il luogo dove i cani abbaiano in tre lingue è la Transilvania, dove l’identità sassone, romena e magiara coesistono da secoli, una multiculturalità riverberata nell’albero genealogico di Ana, la piccola protagonista. La generazione dei nonni aveva sperato che una lingua neutra, l’esperanto, fosse in grado di abbattere le barriere, almeno quelle linguistiche. “Ho già detto, vero, che sempre sentito una parentela di sangue con la nostra casa? Era un membro della famiglia. Aveva nel suo codice genetico qualcosa di tutti quelli che, negli anni dell’infanzia, ha incontrato al suo interno, di tutti quelli che ha ospitato per un periodo”.
Anche loro avevano incrociato lì le proprie voci, vite, storie personali, spezzate, non senza ferite, dalla Storia, con la maiuscola. L’aria della casa ne seguiva il respiro, si muoveva allo stesso ritmo dei loro movimenti. Le loro parole erano come i battiti d’ali delle farfalle: partite dal nulla, potevano provocare i sismi ovunque. La casa però apprezzava la concordia di cui parlava la preghiera della nonna: “Che stiamo tutti bene, in salute, che viviamo nella concordia, che non ci siano guerre.”