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La storia dell’autrice del più grande romanzo giapponese
Il romanzo racconta la vita di Fuji Fujiwara, meglio nota come Murakami Shikibu, autrice di uno dei romanzi più famosi di tutti i tempi: il “Genji monogatari”. Le notizie sulla sua vita non sono molte, non è certa nemmeno la data della sua morte (e nemmeno la sua morte stessa), ma tutto questo anziché essere uno svantaggio contribuisce a velare la sua figura di quella sottile patina di incertezza e malinconia che si ritrova anche nelle pagine di questo libro e che contribuisce notevolmente al fascino di questa eroina.
L’autrice Gabriella Magrini
Quasi a voler imitare la scarna biografia della sua protagonista, anche Gabriella Magrini ha lasciato poche tracce dietro di sé. Nata il 14 novembre 1926, è una scrittrice e giornalista milanese: è stata caposervizio del settimanale “Anna” e ha collaborato a diverse altre riviste. “Mille autunni” vinse il premio Donna-Città di Roma nel 1986, l’anno successivo alla sua pubblicazione. Ecco, le notizie sono tutte qui. Essendo l’autrice ancora viva, ho cercato il modo di contattarla, anche attraverso i social, ma complice forse l’età comunque avanzata non sono riuscita a trovare alcun canale o contatto. Peccato però che anche la critica si sia sforzata così poco di studiare e tramandare la figura dell’autrice dalla cui penna è uscito uno dei romanzi più belli che abbia mai letto.
Contesto storico: l’epoca Heian
Per capire come si deve il romanzo che stiamo analizzando dobbiamo soffermarci qualche istante sul periodo della sua ambientazione: l’epoca Heian. L’epoca Heian è compresa tra l’ottavo e il dodicesimo secolo d. C., e il suo centro è l’antica capitale giapponese Kyoto, allora chiamata Heian-kyo, “la capitale della pace”. Fu un periodo molto prospero sotto più aspetti, durante il quale il Giappone importa e assimila la cultura cinese e la religione buddhista, fondendola a quella autoctona shintoista. Anche la riforma amministrativa e politica arriva dalla Cina, grazie a una serie di ambasciate alla corte dei T’ang: il paese si unifica e si modella sulla struttura dell’impero cinese, al quale il paese del sol levante guarda come fonte di migliorie e progresso. Al termine del nono secolo, però, le ambascerie e le missioni religiose e culturali oltremare cessano: il Giappone, isolato, entra nella fase di gestazione e creazione della sua grande cultura classica, che sboccia nel decimo secolo.
L’epoca Heian è un lungo periodo di pace: gradualmente il potere dell’imperatore si va andato affievolendo per passare nelle mani della più importante famiglia nobiliare, i Fujiwara. I Fujiwara sono un clan molto esteso, con molti rami collaterali sempre in lotta tra loro per legarsi con matrimoni e cariche ai sovrani, comunque sempre venerati come divinità. Nel tempo, la linea politicamente più abile mette in ombra gli altri rami, ai quali vengono lasciati ruoli secondari di governatori di provincia e funzionari di corte. Da uno di questi rami collaterali ha origine la famiglia di poeti e letterati la cui punta massima è proprio Fuji Fujiwara, alias Murasaki Shikibu.
La protagonista Murasaki Shikibu
Un’indovina aveva predetto che la piccola Fuji Fujiwara avrebbe cambiato nome a metà della sua vita. E così è stato. Dapprincipio fu Fuji Shikibu: “Shikibu” era infatti la carica del padre, “maestro di cerimonie”, e le donne che prestavano servizio a corte ereditavano così il titolo del parente maschio più vicino. Poi venne Murasaki: l’eroina del romanzo che occupò la sua vita, che la colmò e al tempo stesso la prosciugò, facendosi quasi più reale della sua stessa vita. Dedicatasi alla scrittura anima e corpo, erano numerosi e spesso molto lunghi i suoi periodi di isolamento e di silenzio, durante i quali i caratteri si accumulavano su fogli dopo fogli dopo fogli, andando a comporre non solo tutti i cinquantaquattro libri del “Genji monogatari”, ma anche poesie, racconti e un “nikki”, un diario di corte. Non si deve pensare, però, che la vita e la sua epoca le scivolassero accanto senza che lei se ne accorgesse: la sua attenzione era sempre vigile e il suo spirito di osservazione ben allenato le permetteva di notare tutto e tutti, e di riportare con fedeltà e acume persone e vicende nei suoi scritti. Ho trovato particolarmente significativo un dialogo che Magrini fa intercorrere tra Murasaki e Micchnaga, il potentissimo reggente imperiale di lei invaghito:
“«Sapete cosa ho pensato mentre leggevo il vostro manoscritto? Ho pensato che se per un cataclisma, una guerra, uno dei nostri terribili terremoti o gli ultimi giorni della Legge che dicono tanto vicini, tutto questo… i nostri palazzi, i nostri templi, la nostra cultura, il nostro modo di intendere la vita andasse perduto… fuorché il vostro libro. Ebbene: esso basterebbe a salvare ciò che noi siamo, ora, qui, per quelli che verranno.»
«Un libro è fragile, basta poco tempo a ucciderlo.»
«Non quando contiene la memoria di un’epoca.»”
Un’anima inquieta, dunque, guidata da una passione che non può vivere né rivelare ma che la segue per sempre, uno spirito che trova il suo destino riversando tutte le proprie energie vitali nella scrittura, rimanendo al contempo ben consapevole di sé e degli altri, del suo tempo, del mondo.
La trama di Mille Autunni
La vita di Fuji Fujiwara è percorsa in queste pagine per tutta la sua lunghezza, dalla nascita in un gelido mattino d’inverno alla morte, anzi, allo svanire dalla vita. Già molto versata in tenera età nelle lettere, il padre le insegna il cinese e le tramanda il suo amore per la letteratura. Non essendo un uomo particolarmente ambizioso, a corte è tenuto in considerazione solo per la sua arte poetica e per la sua cultura: è su questo che si incentra tutta la sua carriera ed è in questo clima che Fuji cresce.
Questo aspetto del carattere paterno inciderà sulla sua vita più di quanto si pensi: nominato governatore della lontana provincia di Echizen proprio per motivi legati all’ambizione e al prestigio, Fuji ottiene di partire con lui e là, nelle terre del nord, farà un incontro che le cambierà la vita e le darà lo spunto per il protagonista della sua grande opera, il “principe splendente”. Purtroppo l’intesa, prima che l’amore, tra Fuji e il misterioso Yoshinori non è una passione destinata a realizzarsi, così quando il momento giunge e la famiglia torna alla capitale la giovane sposa uno dei suoi corteggiatori, Nobutaka, al quale darà una figlia, senza amare particolarmente nessuno dei due.
Il marito la lascia presto vedova, ed è durante il periodo di lutto che inizia la stesura del “Genji monogatari”, che si protrarrà per quasi tutta la sua vita. Con il crescere del successo del suo romanzo, viene chiamata a servire a corte: per lei l’impatto con quel mondo fatto di intrighi, convenzioni e rigidi rituali è molto duro, ma il suo carattere sincero e la sua cultura profonda ma non superba le attira molte simpatie, tra cui quella dell’imperatrice Akiko. E proprio a corte, durante una delle numerose feste, le viene dato il soprannome di dama Murasaki, col quale da quel momento in poi sarà conosciuta.
Gli anni passano, e una stanchezza sempre più pesante inizia a impossessarsi di lei. I periodi di ritiro si fanno più lunghi, le sue apparizioni in pubblico più brevi. La famiglia si è di nuovo separata, col padre chiamato a governare un’altra provincia lontana e tutti gli altri sparsi qua e là per il paese, così Murasaki passa quasi tutto il suo tempo in solitudine, con la sola compagnia della sua fedele cameriera Kiri.
Dal febbraio del 1014 in poi non si hanno più notizie di dama Murasaki. Non è morire, non è scappare via; assomiglia più a uno svanire, a un dissolversi nella nebbia mattutina, delicatamente e in silenzio, a perfetta chiusura di una vita che si è fatta essa stessa opera d’arte.
Considerazioni
Avvertenze: non è una lettura leggera né da prendere sottogamba. Va intrapresa con un po’ di concentrazione in più rispetto al solito, e non guasterebbe leggere l’introduzione (che di solito nei libri si salta, ammettiamolo) per non arrivare proprio del tutto disinformati riguardo al contesto della vicenda. Detto questo, la mia intenzione non è certo quella di scoraggiare i potenziali lettori, tutt’altro. È uno dei romanzi che entra nel mio Pantheon personale per intensità e coinvolgimento, per atmosfera, per rapimento…
Insomma, anche se ci si impiega più tempo per portare a termine la lettura, il viaggio che si intraprende ne vale davvero la pena. L’autrice ci prende e ci trasporta in un’altra epoca, in un’altra terra, noi non siamo più noi, né siamo dove siamo. Seguiamo Fuji, seguiamo Murasaki; con lei scendiamo sulla spiaggia per contemplare la prima luna piena d’autunno, con lei ci nascondiamo dietro i paraventi della corte per osservare senza essere visti, con lei rimpiangiamo qualcosa che non è mai stato. Questo è uno dei sensi ultimi della lettura: trascendere sé stessi per sperimentare altre vite, per viverne più di una.