Osservazioni e annotazioni psicologiche su comportamento, coscienza, mente umana

Sul comportamento e la sua (im)prevedibilità

La psichiatria e la psicologia cercano di prevedere il comportamento umano, ma esso spesso è connotato da imprevedibilità anche nelle cosiddette persone normali: figuriamoci in quelle con gravi disturbi psichici! Non solo ma la linea di confine tra normalità e follia è davvero incerta e molto labile. La pericolosità sociale di un soggetto non è dicotomica per uno psichiatra, che dovrebbe esprimersi solo in modo probabilistico. È sempre difficile stabilire per uno specialista se un soggetto disturbato passerà all’acting out e diventerà un serial killer. È difficile dire perché un uomo uccide. Per istinto? Per passione? Per volontà di potenza? Per interesse economico? Per aggressività? Perché non ha saputo reprimere l’impulso? Per mancanza di valori? Per bisogno? Per raptus? Per follia? Per piacere? Per coazione a ripetere, dato che aveva già ucciso? Perché in stato di alterazione psicofisica? Possono essere molte le spiegazioni. Possono essere molti i moventi. Eppure molti esperti ostentano sicurezza e sentenziano con leggerezza quando vanno in televisione a discutere di un assassino. Con faciloneria spesso si mostrano innocentisti o colpevolisti. Eppure dovrebbero essere più guardinghi e responsabili! Allo stesso modo è difficile prevedere come reagirà una persona di fronte a un evento traumatico come uno scippo, una rapina, uno stupro, un incidente stradale. Talvolta anche le vittime secondarie (ovvero familiari, soccorritori, testimoni) possono risultare traumatizzate dall’evento. Le strategie per reagire ad eventi stressanti sono svariate. Ci sono diversi tipi di coping. Inoltre di fronte a un trauma psicologico c’è chi sperimenta l’immobilità tonica (o paralisi da paura) e chi invece la dissociazione. Non tutti coloro a cui viene diagnosticata una psicosi, una nevrosi, un disturbo di umore, un disturbo di personalità o un disturbo del comportamento alimentare reagiscono allo stesso modo. Ci sono delle differenze individuali. Ci sono pazienti che reagiscono in modo ottimale al trattamento (farmaci e psicoterapia) e altri che hanno maggiori problemi. Il comportamento umano può dipendere da diversi fattori. Gli psichiatri spesso ritengono di controllare il comportamento dei pazienti grazie agli psicofarmaci. Molto probabilmente semplificano per essere più pragmatici. Comunque A. Koestler aveva previsto tutto quando aveva scritto “Il fantasma dentro la macchina”. La neuropsichiatria sta diventando una nuova forma di controllo sociale, anche se è alquanto imperfetta ancora. Non sappiamo se in futuro le pillole ci renderanno tutti stabili psichicamente e felici oppure no. Può anche darsi che tutti ci accontenteremo di un benessere indotto e artificiale. Gli esperti però spesso  non mettono in conto l’assurdo, l’imponderabile, l’aleatorio. In una parola sola il caso, che secondo alcuni domina il mondo. Per loro filosofie come l’esistenzialismo non sono altro che irrazionalismo. Oggi come oggi gli psichiatri non sono più umanisti e hanno tutti una formazione scientifica. Alcuni scienziati hanno cercato anche di creare un algoritmo in grado di prevedere il comportamento. Ma per creare un sistema di previsione accurato ci vorrebbe l’immissione di una enorme mole di dati. Non solo ma ci sono alcuni fattori aleatori interni e altri esterni. Le incognite sono troppe. Non esistono al momento modelli predittivi che possono prevedere il comportamento del più ordinario e regolare degli uomini. Nessuno dovrebbe mai sapere cosa aspettarsi dagli altri. Al momento gli esseri umani sono imprevedibili. Lo dimostrano tutti i crimini senza colpevole. La letteratura moderna insegna pur qualcosa. Debenedetti scrisse che nei grandi romanzi del Novecento era comparso il personaggio particella, che non si sapeva in quale direzione andasse. Nessuno lo poteva stabilire. Il personaggio particella era anarchico, incerto e incalcolabile. Secondo il grande critico era finita la scienza meccanicistica contraddistinta da un rapporto di causa ed effetto e con essa era finito anche il personaggio uomo in letteratura. Era finito il positivismo. Nessuna scienza poteva più essere considerata esatta. Il comportamento caotico e insensato dei personaggi dei nuovi romanzi poteva essere spiegato solo dal principio di indeterminazione di Heisenberg. Gli psichiatri insomma parlano di pattern comportamentali e cercano di studiare la ripetitività delle azioni. Ma senza scomodare di nuovo Debenedetti come la mettiamo ad esempio con l’atto gratuito del Lafcadio di Gide, di “Delitto e castigo” di Dostoevskij e de “Lo straniero” di Camus ? Tutto può essere. Tutto può accadere non solo in letteratura ma anche nella realtà. Gli esperti molto spesso sono impeccabili a spiegare ex post, ma lasciano a desiderare ex ante. Gli insegnamenti della letteratura restano lettera morta.

Sulla coscienza e la difficoltà di darne una definizione

La coscienza è oggetto di studio per la psicologia, l’etica, la teologia, la medicina, la filosofia, la politica, la letteratura. Ad esempio a livello morale si usa dire “la voce della coscienza”, che in fondo è la nostra parte più intima e con cui tutti dobbiamo fare i conti. Si usa anche dire “rimorso di coscienza” quando si ha un senso di colpa perché abbiamo compiuto una cattiva azione. La coscienza riguarda anche la teologia perché esiste in noi anche il numinoso, ovvero il sentimento del sacro. In letteratura esiste il flusso di coscienza. Basta leggere la Woolf, H. James, W. Faulkner, Joyce. Gli scrittori inseguivano i loro pensieri senza punteggiatura. La loro scrittura registrava i dati psicologici, la loro interiorità; descriveva la loro mente che vagava da una idea all’altra. Allora la mente non era ancora considerata esclusivamente un insieme di processi fisico-chimici. Naturalmente da allora è innegabile che siano stati fatti dei passi in avanti perché non si parla più di spirito e sappiamo che privati del sistema limbico non sapremmo più provare emozioni. Secondo la psicologia la coscienza è innanzitutto autoconsapevolezza. È allo stesso tempo consapevolezza del vissuto e responsabilità delle proprie azioni. Per Jaspers è “la vita psichica di un dato momento”. È autoriconoscimento, memoria di sé, percezione di sé, conoscenza di sé, senso di sé; recentemente i neuroscienziati hanno parlato di sé autobiografico, ovvero conoscenza del proprio passato e presente. Coscienza significa accorgersi anche degli stimoli esterni. Coscienza è attenzione. È consapevolezza della propria identità. È organizzazione psichica di attenzione, memoria, linguaggio, desideri, intenzioni, emozioni, valori, stati mentali. Secondo il cognitivismo è anche metacognizione, ovvero conoscenza delle proprie operazioni mentali. Tutto ciò risulta in parte labile ed ineffabile. A tal riguardo dobbiamo ricordarci che il Sé è sempre sfuggente ed elusivo. Ma non è solo questo il problema. Secondo gli scienziati un’ulteriore complicazione deriva dal fatto che la coscienza è difficile da analizzare perché è un processo e  non un oggetto come gli altri. Molte cose che sappiamo della coscienza le sappiamo grazie all’introspezione. La coscienza è un mistero. È dal 1879 che la psicologia studia ufficialmente la mente. Infatti in quell’anno Wundt aprì nell’università di Lipsia un laboratorio per studiare sensazioni, percezioni, associazioni mentali. Nonostante ciò gli psicologi non riescono ancora a mettersi d’accordo a proposito. La questione è tra le più complesse. Sono innumerevoli gli aspetti problematici della coscienza. Per la medicina essa è l’attività delle facoltà mentali superiori. Ma cosa riesce a dare unità e coerenza ad essa? È possibile una teoria della coscienza valida senza avvalersi della soggettività? Attualmente molti neuroscienziati sono riduzionisti e alcuni ritengono che sia possibile creare una mente artificiale dotata di coscienza. Per loro la coscienza è l’analisi dei correlati neurofisiologici. È lo studio del funzionamento del cervello tramite le tecniche di imaging, le ricerche sugli animali, lo studio delle lesioni cerebrali. Alcuni riduzionisti e alcuni studiosi dell’intelligenza artificiale ritengono che il cervello umano possa essere equiparato ad un computer. La mente umana però a differenza del computer non è solo sintassi. Fuor di metafora, solo gli uomini possono comprendere. I computer invece non possono. Un conto è la sintassi e un altro è la semantica. Non solo ma delle macchine per quanto complesse non potranno mai avere la plasticità neurale degli esseri umani. Altro aspetto rilevante è che non esistono solo sinapsi elettriche nell’uomo ma anche sinapsi chimiche, che determinano gli umori grazie ai neurotrasmettitori. I computer molto probabilmente non potranno mai sapere cosa è un umore, uno stato d’animo. Inoltre per Vittorino Andreoli la psiche umana è la risultante di tre fattori: l’eredità, l’esperienza, l’ambiente. Questi tre fattori probabilmente non caratterizzeranno mai un computer. Ma passiamo oltre. Esistono inoltre diversi stati di coscienza come la veglia, il sonno, gli stati alterati dall’assunzione di droghe o alcool, l’ipnosi, la trance, la meditazione, l’estasi mistica. Nessuno sa con certezza che cosa accade in questi casi. Cosa accade poi esattamente in casi come le percezioni extrasensoriali? Nessuno ancora lo sa con certezza. Un tempo Freud contrapponeva l’attività conscia all’inconscio. La coscienza allora era esclusivamente l’io. Ma ha  senso forse oggi questa distinzione così limitativa? Per Husserl ciò che contraddistingueva la coscienza era l’intenzionalità. Ma cosa fa in modo che prestiamo attenzione a degli stimoli piuttosto che ad altri? Nessuno ancora una volta può dirlo con certezza. Sappiamo solo che la nostra mente processa, rielabora e codifica una miriade di stimoli interni ed esterni. Ma ciò che conta è solo quel che resta nella mente. Il resto non deve essere considerato importante. Il resto non conta. Gli altri stimoli persi, che non sono stati presi in considerazione, vuol dire che non contavano nulla. Per Daniel Kahneman “what you see, is all there is”, che tradotto significa “tutto quello che vedi, è tutto ciò che c’è”. Sappiamo che c’è una selezione. Sappiamo che c’è un filtro. Conta però solo il risultato finale: la gestalt globale. In definitiva ne sappiamo ancora ben poco allo stato attuale delle conoscenze. Gli studiosi devono essere sintetici e avvalersi dell’indagine empirica. Scusate il gioco di parole ma è il caso di dire che non si è ancora preso totalmente coscienza della coscienza. Forse la mente umana resterà sempre un enigma insolubile.

Sempre sulla mente umana e Kant

A livello percettivo potremmo affermare che noi categorizziamo il mondo come pensava Kant, che teorizzava lo schematismo. Il criticismo kantiano è stato considerato da alcuni studiosi un idealismo gnoseologico perché secondo questo sistema di pensiero noi conosceremmo i fenomeni tramite le nostre forme a priori, che sarebbero perciò categorie “trascendentali”, ovvero delle modalità indescrivibili e inesprimibili di catalogazione dei dati dell’esperienza. Queste categorie ci consentirebbero di percepire il mondo ma non di giungere al nuomeno, ovvero alla realtà ultima (la cosa in sé). Più recentemente diversi psicologi cognitivi hanno pensato che tutto funzioni come riteneva il filosofo. Miller parla di piano, Neisser di strutture cognitive; ci sono altri psicologi che parlano proprio di schemi e altri che utilizzano il termine “copioni”. Non sono un profondo conoscitore di Kant, ma mi sembra di poter dire che l’unica cosa che Kant non aveva previsto nella sua teoria della conoscenza era il feedback, ovvero la continua retroazione tra io e mondo. Ciò non significa che siamo esseri totalmente razionali. Il nostro modo di rappresentare la realtà si basa su regole implicite, che non giungono alla soglia di coscienza e che molto spesso non possono essere verbalizzate. Il fatto che adoperiamo degli schemi non significa quindi che la mente umana sia computazionale. Questo significherebbe ipersemplificare la questione. La mente umana non funziona in base a degli algoritmi, ma molto spesso in base ad analogie, simboli, euristiche (chiamate anche bias o distorsioni cognitive). Il cervello non è un computer e la mente non è un software. Questo modello è ormai antiquato. Il riduzionismo e il meccanicismo hanno fatto ormai il loro tempo. Il cervello umano è formato da miliardi di neuroni e attualmente nessuna mente artificiale può simularlo efficacemente. La produzione linguistica infinita di ogni essere umano ad esempio attualmente non può essere eguagliata da nessun computer. L’intelligenza artificiale non può al momento riuscire a risolvere il frame problem, ovvero il problema del quadro di riferimento che la mente umana utilizza quando ad esempio deve interpretare un testo. La mente umana è in grado di fare abduzioni, che sono solo probabili, soggette ad errore e che necessitano di prove. Nessuna macchina è in grado di fare questo. Non credo che nel futuro prossimo i computer potranno creare poesie, aforismi, romanzi o fare dimostrazioni matematiche oppure fare esperimenti scientifici. Qualcuno potrebbe sostenere che l’intelligenza artificiale è solo agli albori. Qualcun altro potrebbe invece ritenere che l’insight umano non potrà mai esistere in una macchina per quanto mirabilmente congegnata. Una altra cosa che forse un computer non riuscirà mai ad avere è l’autoconoscenza, anche se talvolta questa negli uomini può portare a degli autoinganni. Non solo ma la psiche non è lineare come ritenevano i razionalisti. Spesso la mente  lavora utilizzando associazioni mentali e la relazione tra un pensiero e quello successivo non è necessariamente logica come pensava Hume. Il poeta Auden aveva espresso magistralmente ciò quando scriveva: “I suoi pensieri vagavano dal sesso a Dio senza punteggiatura”. Anche il linguaggio, come scoprì Wittgenstein, ha una dimensione extralogica (“è un gioco le cui regole si imparano giocando”). Inoltre potremmo dire che sono diverse le concause che determinano la nostra psiche. Più specificamente si parla di multifattorialità. Infine una parte della psiche è composta dall’inconscio ed è irrazionale. Si pensi anche che secondo Bion perfino le persone più normali possiedono nel proprio interno dei “nuclei psicotici”. Nessuno perciò sarebbe completamente normale. Più banalmente potremmo affermare che in noi sono presenti anche pulsioni ed emozioni. Nella nostra mente non sono presenti solo stati mentali ma anche stati di animo. Decenni fa i comportamentisti consideravano la psiche una black box. Attualmente la mente umana è considerata come un sistema complesso e non lineare. La mente non farebbe perciò eccezione perché in natura la stragrande maggioranza dei sistemi fisici non sarebbe lineare. Ormai è la teoria del caos a spiegare la mente e questo in parte equivale a dire che le nostre facoltà cognitive sono inspiegabili. Secondo E. Morin infatti “nei sistemi complessi l’imprevedibilità e il paradosso sono sempre presenti e alcune cose rimarranno sempre sconosciute”. Cartesio poteva sbagliare su diverse cose ma resta ancora valido il suo Cogito: posso dubitare di ogni sensazione o percezione, però non posso dubitare di dubitare, ovvero non posso dubitare di pensare. Questa forse è l’unica certezza rimasta sulla mente, anche se i pensieri sono spesso accidentali e frammentari.

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Nato nel 1972 a Pontedera. Laureato in psicologia. Collaboratore di testate giornalistiche online, blog culturali, riviste letterarie, case editrici. Si muove tra il pensiero libertario di B.Russell, di Chomsky, le idee liberali di Popper ed è per un'etica laica. Soprattutto un libero pensatore indipendente e naturalmente apartitico. All'atto pratico disoccupato.

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