Pensiero, essere, azione

Per Bakunin, Moravia, i moderni life coach “si è ciò che si fa”…

Lo aveva già scritto Bakunin che si è ciò che si fa, riferito all’agire politico per realizzare l’anarchia, dato che con la sola teoria non si potevano fare grandi passi avanti, anche se essa era necessaria e veniva prima di tutto. Moravia ne “La romana” scriveva che si è quello che si fa. Eppure Bakunin è stato un geniale filosofo anarchico  e Moravia è stato un grande scrittore comunista. Quindi nessuno può tacciarli di essere dei capitalisti calvinisti o degli yes men arrivisti e senza scrupoli, che per affermarsi passerebbero sopra il cadavere della loro madre. Oggi molti sono concordi con questa concezione, soprattutto coloro che si sono realizzati nella vita. Non dimentichiamoci che sono sempre più coloro che hanno venduto l’anima al dio denaro. Qualche anno fa è stato coniato il termine workism per indicare l’identificazione quasi totale con il lavoro. Alcuni precisano che nella vita si è ciò che si fa spesso. In realtà ci sono certe singole azioni che ci macchiano a vita come rubare, stuprare, uccidere: basta commettere uno di questi atti una volta per essere catalogati, classificati, etichettati per sempre da molti. Ma alcune persone si prendono anche la libertà di definirci sempre in base a ciò che abbiamo fatto in passato e ci dicono, rinfacciandocelo: “tu per me sarai sempre quello che un tempo…” oppure “ti sei forse scordato di quando tu facevi questo o quello?”.  Oggi molti life coach ci avvertono: “nella vita non sei ciò che dici ma ciò che fai” oppure “nella vita non sei ciò che pensi che farai ma ciò che fai”.

Siamo certi di esistere?

Prima ancora di definire cosa siamo, bisognerebbe porci il dubbio se veramente siamo, dato che poeti come Montale non avevano certezza di esistere. A volte penso che siamo morti da sempre, che  non siamo mai nati. In Oriente pensano che questa nostra vita sia pura illusione. Siamo perciò così sicuri che noi siamo, ancor prima di dire ciò che siamo?  Un dilemma insormontabile è scegliere oppure anche solo sapere quello che si vuole o bisogna fare (altra scelta difficile) nella vita; non solo ma trasformare le intenzioni in azioni dipende dai valori, dai bisogni, dalle possibilità,   dal destino. Nella vita a onor del vero non bisognerebbe considerarsi ciò che si fa, ma bisognerebbe fare ciò che si è. Questo è molto difficile.

Essere e scrittura

Se parliamo di scrittura, solo un autore di una grande casa editrice o di best seller viene rispettato in Italia. Oppure uno è stimato anche se vende poco o niente  ma se insegna o svolge comunque una professione intellettuale.  La scrittura non porta a guadagnare soldi nella stragrande maggioranza dei casi e il rispetto sociale talvolta  viene meno. Non si ride in faccia a chi scrive, ma nel migliore dei casi lo si tratta con una mistura di paternalismo e  bonaria indulgenza. Viene considerata un hobby, una passione, uno sfizio, un passatempo innocuo. Si dice comunemente che i migliori sono quelli che sono riusciti a trasformare la loro passione in un lavoro, quando invece un principio irrinunciabile di questo nostro stanco Occidente dovrebbe essere quello di trasformare il proprio lavoro in una passione. Ma sappiamo bene che lavoro e passione non coincidono che raramente. Van Gogh non vendette mai un quadro, Alda Merini guadagnò pochissimo con la poesia e solo in età matura, mentre i boia, gli ufficiali delle SS erano considerati ai loro tempi degli onesti e indefessi lavoratori, ben retribuiti tra l’altro.  Si potrebbe estendere il concetto sostenendo che si è ciò che si mangia, ciò che si beve, ciò che si ama, ciò che si odia, ciò che si respira, ciò che si legge, chi si frequenta, ciò in cui si crede, etc etc. Ma rarissimamente in questa società si viene considerati per ciò che si scrive. In questa Italia si può scrivere ciò che si è, ma non si può essere ciò che si scrive. Le due cose vengono ben distinte perché la scrittura non è riconosciuta socialmente. Così si dice di Tizio che è un impiegato che ha scritto un libro di poesie o di un sindacalista che ha pubblicato un saggio di filosofia. Ma forse il problema sta a monte; non si è ciò che si scrive perché questa società così pragmatica, consumista e utilitarista nega alla base di tutto il libero pensiero dei suoi cittadini. Il pensiero, la scrittura non sono identitari. Ecco tutto.  Invece la scrittura scaturisce dal pensiero, dall’ideazione, dalla creatività: è pensiero che prende forma, si diffonde, fa nascere e moltiplica per reazione altri pensieri. Tutto questo dà fastidio al potere, che cerca di controllare, incanalare, riportare sui suoi binari il libero pensiero. Il pensiero, la scrittura, l’arte finiscono per non essere considerati l’essenza delle persone che li generano. Paradossalmente azione ed essere sono tutt’uno in questa società,  pensiero ed essere invece no, ma ogni azione nasce dal pensiero, senza per questo voler finire nell’idealismo totale, nell’attualismo gentiliano, etc etc. Un’altra cosa da sottolineare è che in Occidente è avvenuta da tempo una scissione tra pensare e vivere, quasi come se fossero due attività ben distinte e non si richiamassero incessantemente. Ritornando alla scrittura,  di  un grande scrittore si dirà che ha venduto milioni di copie e che ha vinto premi letterari importanti. Molto spesso si dice che Caio è un grande scrittore senza averne mai letto un libro, ma ci si fida della notorietà.  Nessuno in una conversazione al bar o per strada parlerà della qualità della sua scrittura, del suo stile, della sua visione del mondo.

Tra autoattribuzione ed etichette sociali

Ricapitolando dire che si è ciò che si fa può portare ad alcuni paradossi ed è una banalizzazione, un’ipersemplificazione, un modo molto sbrigativo e superficiale di giudicare alla fine sé stessi o il prossimo. Un’altra scuola di pensiero più moderna e più aperta vorrebbe che ognuno dovrebbe avere la libertà di definirsi come meglio si sente, come meglio si crede. È vero che bisognerebbe anche mettere dei paletti e ricordarsi che dovrebbe esserci il tacito accordo di non mentire e non prendersi in giro. Se da un lato questa scuola di pensiero può avvantaggiare bugiardi, truffaldini, buontemponi,  dall’altro bisogna vivere pienamente questo nostro tempo, fatto di subpersonalità fittizie e di identità fluide, che caratterizzano in modo preponderante soprattutto molti giovani di oggi. Purtroppo però, volenti o nolenti, nella psicologia umana sono molto importanti sia le autoattribuzioni che le etichette sociali, che hanno entrambe dei limiti e delle distorsioni. Concludendo, Sartre in tempi non sospetti  scriveva: “È vero che non sei responsabile di quello che sei ma sei responsabile di quello che fai di ciò che sei.” 

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Nato nel 1972 a Pontedera. Laureato in psicologia. Collaboratore di testate giornalistiche online, blog culturali, riviste letterarie, case editrici. Si muove tra il pensiero libertario di B.Russell, di Chomsky, le idee liberali di Popper ed è per un'etica laica. Soprattutto un libero pensatore indipendente e naturalmente apartitico. All'atto pratico disoccupato.

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