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Nella poetica di Fabi per quanto concernono stilemi e modelli di riferimento non è difficile intravedere in ciò che scrive una diretta influenza dannunziana, specie le liriche imbevute di figure mitiche della tradizione greco-romana, i richiami ai grandi classici del passato non si esauriscono certo qui, forte è anche la presenza pascoliana nell’immortalare sentimenti e situazioni travagliati e misteriosi della vicenda umana. In questi componimenti risuonano anche la poesia della tradizione inglese romantica e decadente, i poeti della beat generation americana, Ferlinghetti su tutti, la poesia francese, gli haiku giapponesi dal gusto estemporaneo, ma soprattutto si avverte il tentativo di misurarsi coi poeti locali della tradizione dialettale monterubbianese e fermana, colta e dialettale, da Luigi Centanni a Ada Nepi, da Acruto Vitali a “Li Matti”, caratterizzati dall’uso del vernacolare.
Le forme si alternano tra la metrica classica, di cui si predilige il sonetto, e il verso sciolto con un ampio corollario di mezzi retorici consolidati nel panorama letterario.
Ancora Amo
Lascia che le mie parole infuocate precipitino come bossoli (rotolati) a terra, se solo trafissero il bersaglio, le tue labbra ora saprebbero di zucchero. Gherigli di noce cavi sospinti dalla marea, emergono quali emisferi senza pensieri. Immobili grilli riposano su steli di avena, spettatori indifferenti della mia mestizia, della tua malizia. Minuziosi intagli sulle cortecce degli elci, fessure aggraziate da cui scendono lacrime di dolore. Un desiderio, mordere cristalli di resina addensati sul fusto di un albicocco. Nelle vellutate sue foglie diafane scorgo la tua linfa pulsare un sottile ricamo di vene esangui. Fragile la mia essenza come fragili le ali di una farfalla, hai rimosso la polvere che mi faceva volare. Corde spezzate di uno strumento mai suonato, non so cogliere la tua vera armonia, non vedi rughe sul mio volto fanciullo, io vedo dolore nel mio profondo. Come può una bambina serbare rancore alla mano paterna, forse vedi gli occhi di tuo padre, non ho l'età di tuo padre. Tra le pietre incastonate ad arte nel muro c'eri tu, tassello perfetto che sorregge il mio peso, cadi tu e crolla tutto.
Alba Andina
Come esili dita lambite dal vento, la corrente andina pettina nel folto sopite le foglie, l'acacia s'inclina sotto il tepido manto di nembi arroventati dall'astro, alito dorato, la plaga di lembi terrosa riarsa nell'arido solco si tinge di cremisi. La squilla risuona insù le vette de La Libertad, paradisi ove il condor e il gheppio saette fra cuspidi e pinnacoli irti volteggiano in danze con gli astri. E il cielo purpureo tra i mirti rosati albeggia su pilastri vellutati, pelame biancastro di agili vigogne, nera Ia terra, sorriso di alabastro schiude ridente la sclera Ciglio nitido abbraccia lo sguardo l'assonnata e obliosa radura dabbasso s’ode il gallo tardo ridestar col canto la natura.
Agli Intha dell’Inle
Crescioni d'acqua galleggiano sul terso e florido lago muschiato. Paziente l'asta s'immerge, i flutti guizzando come roride perle, le alghe avvinghiano docile il bambù. Cruna flessibile d'un insolito ago buca l'argento scaglioso di un livellato specchio. Affonda nel gorgo lo spago sottile senza ombra tracciare e cuce e imbastisce le pieghe d'un panno fluttuante, intreccia e divincola terra e mare e acqua e zolle viscose, flemmate dal lago placido, riluce sui pomi smeraldo, acerbi succhi lambiti e pasciuti dal fertile lago. Inermi le trote, compagne adombrate di atolli erbosi, rilucono a sprazzi nelle macchie di sole e come astri balenano dalle zattere di terra galleggiante, il pescatore rincorre tra anse e pieghe grovigli di uno stesso tessuto.
Mariposa
vorticosa tra le anse verdi di siepi, leggiadra in un valzer di voli sospinta da sbuffi improvvisi con un fremito d'ali sali di quota sfidando l'aura, poi ti nascondi, riemergi dietro massicci odorosi mentre petali di rose vibranti acclamano la tua maestria sventolando agili gli steli di seghettate lamine E sorvoli polle erbose le cui corolle ti sorridono e schivi chiome austere che non approvano, mentre raggiante rincorri le tue compagne di giochi innocenti come nastri sciolti rapide vi dileguate, sottratte agli sguardi di curiosi amanti. Volteggi e tanto somigli a una foglia pendula che ondeggia tra cielo e terra quando si parte dal ramo. Danzando miro la delicata tua forma e scorgo la vanità bionda di cui ti compiaci. Senza posa, irrequieta non hai desio di prendere fiato, comprendo ora la tua essenza mariposa, mai sazia di volute non riposi.
Solstizio
Lucciole, bagliori fuggevoli di tiepidi lumi. Velame stellato di fulgide ali nella scura notte s'acquieta. Frinire sommesso di cicale incessante sui muri oscurati. Pallore languido dell'astro Selene regnante nell'empireo dimora, singulto notturno di Atene piumata, si specchia su gracili riflessi d'elitre scolpite nel verde metallo. Un oceano di silenzi s'infrange su scogli d'ambra. Glissato staccato scorre armonioso un palpitare sommesso tra fronde e rami e fogliame, s'arresta, pur breve riprende crescendo. Folate improvvise s'alternano a scrosci impetuosi. Nell'aere risuona l'adagio su carta vergato lieve d'inchiostro note perfette di sinfonie celesti, mano sapiente d'eterno splendore.
Voluptas
Ninfa fugace e scevra d’ogni male Nutrice licenziosa di peccato intrisa m’ammorba il tuo turgore le fise labbra iridescenti ammiro Pallido afflato simile all’untore vitrei imbalsama d’avorio gli occhi cosparge il volto d’umido ardore Traspare rorido il succo tra i nocchi del tuo dorso d’opale e d’argento ruvide rupi che le labbra tocchi come stoffe nebulose, pulmento alla bellezza funebre del viso d’amore pallido, bigio ornamento
Amaro amore
Occhi ciechi scartano involucri dal tuo volto, empiono la carne misura dell'abbandono alla menzogna, diffido non m'affido alla tua clemenza di pargolo innocuo, col rovente sprezzo e l'incallita superbia che scioglie al sole il tuo incanto e svela cruente le rughe, concentriche vie di palpitante livore, astio bulimico del tuo io perverso. Florido seme di malvagità stillicidio di bruni e appassiti frutti, del male compito, rese sterile il tuo corpo Ora consunta dal pauco candore del brulicare nefasto di sferzanti parole che lenirono mai paga la tua sete di odio. Parole rivelano lieve come niveo osso di seppia un amore carnoso, putrido, serrato nelle viscere incapace di fiorire tra le vene plumbee che tardi pretesero di sciogliere il tuo ghiaccio di cuore
9 aprile
Tortuosi sentieri s'inerpicano lungo le ferree mani gravi come arnesi incandescenti plasmano arrendevoli legni cavi simili con la scorza al tuo legnoso viso ruvido, solca lo scalpello teneri rivoli di mogano levigato da affanni grevi dissolvono l'acume dei pensieri volute e spire nelle cornici. Gli sguardi nostri a volte foschi son trucioli spazzati ormai raccolti Lacche smalti tempere e cere irradiano bagliori luccicanti come agli occhi tuoi madreperla nelle anse eburnee delle maniglie solidi appigli nell'incerta stanga consunta scalfita mai marcia Resisti agli strali del tempo la pittura incrostata le scaglie sfavilla come gemme di lacrime versate dagli occhi di balsa teneri modellati all'amore che tu albero maestro mi concessi