“Poscienza” di Roberto Maggiani

Perché leggere “Poscienza” di Roberto Maggiani? Perché è davvero un bel libro di poesie, altamente innovativo e originale. Vorrei spiegare ora in che cosa consiste questa originalità. Innanzitutto il poeta scrive nel solco di una tradizione rispettabilissima e memorabile (seppur poco praticata e poco battuta dai più), rinnovandola. Questa raccolta poetica è un felice connubio di arte e scienza. Il poeta mette la scienza nella poesia, compiendo un’operazione intellettuale che allarga l’orizzonte conoscitivo della lirica contemporanea. A quale tradizione mi riferisco? A tutta la letteratura che ha cercato di indagare la relazione con la scienza. Italo Calvino ad esempio in “Lezioni americane” considera Galileo Galilei come uno dei più grandi scrittori italiani di tutti i tempi. Giacomo Debenedetti ne “Il personaggio uomo” fa un’analogia tra fisica delle microparticelle e letteratura, tirando in ballo il principio di indeterminazione di Heisenberg. Sinisgalli in “Furor mathematicus” coniuga poesia e scienza. Gadda in “Meditazione milanese” tratta di letteratura, di filosofia, ma spuntano qua e là influssi neopositivisti, teorie economiche, formule di derivate e integrali. Che sia questa tradizione scientifica e letteraria la vera tradizione del nuovo e non più la Neoavanguardia e i suoi eredi/epigoni? Se come scrisse Galileo la matematica è il linguaggio della natura, si potrebbe rispondere affermativamente a questa domanda. L’innovazione maggiore di Maggiani è quella di scrivere un libro di poesia e fisica al contempo. Una cosa, a quanto ne so, finora unica nel panorama italiano. Lederman e Hill hanno scritto “La fisica quantistica per poeti”, ma era un libro di divulgazione scientifica e non di poesia. In narrativa abbiamo avuto recentemente il romanzo “Maniac” di Labatut. Ma nella poesia italiana, a quanto ne so, la fisica non era mai diventata un nucleo tematico degno di un’intera raccolta. Per scrivere un’opera come “Poscienza” bisogna essere ottimi poeti e ottimi fisici. Maggiani potremmo definirlo come Sinisgalli, ovvero un poeta delle due muse. “Poscienza” è un’opera densa concettualmente, ma mai dispersiva, perché mantiene un’ottima compattezza e organicità. Maggiani fa sul serio, il suo non è un raffinato gioco intellettuale fine a sé stesso, non è un puro esercizio di stile, ma talvolta non risparmia l’ironia, che abbraccia tutto e tutti, finanche sé stesso, diventando autoironia: è anche questo uno dei lati positivi del libro, che risulta complesso, ma anche stimolante e divertente. E se vi sfugge il senso di qualche formula, basta googlare, basta cercare, indagare, riprendere a leggere polverosi manuali di fisica delle scuole superiori. Maggiani non può dare tutta la pappa pronta, anche se so che molti sono abituati a una poesia già masticata e predigerita. Invece una poesia che si rispetti deve essere comprensibile nel suo senso globale, ma nei dettagli deve anche aprire all’irrisolto, al mistero, e Maggiani si conferma molto bravo a tenere uniti questi due aspetti imprescindibili. Il poeta Marco Corsi in una conferenza alla Casa della Cultura ha dichiarato che la poesia è percepire oltre ciò che vediamo. Per fare ciò ci vuole l’ausilio di un inconscio sapientemente controllato, guidato dalla ragione. Il poeta Wolfango Testoni nella stessa conferenza parlava di poesia come coralità tra campo visivo centrale e campo visivo laterale, fino a giungere a un piano non più percettivo ma ontologico e metafisico. Maggiani anche qui si situa al di fuori del canone peraltro rispettabilissimo dell’(im)percezione, della visione, della stretta e problematica connessione tra le due. Maggiani si affida al regno dell’invisibile, non dal punto di vista teologico, ma da quello squisitamente fisico. Maggiani è teso tra “la mente” che “oscilla tra un minimo e un massimo qualsiasi” e “l’infinito che stringe i fianchi”, tra la ricerca di “un principio sotteso al mondo” e “l’algoritmo che rende chiari i battiti”, ponendosi anche la grande domanda: “Come avvengono la memoria/ il pensiero e la fantasia/ in un chilo e mezzo di materia?”. E il poeta ricorda anche al lettore questa piccola grande verità: “Sei un bersaglio/ se la morte farà centr (o_ o) meno/ è una questione di statistica”. Inoltre mi chiedo se si può scrivere una poesia senza un’idea di dolore o addirittura senza dolore? Per l’autoterapia meglio anche la non poesia. Per la critica meglio la pagina bianca. In ogni caso un buon poeta deve fingere ogni giorno tutto il dolore che non ha o esprimere il dolore di non avere dolore. In ogni caso la critica impone il suo diktat: ci vuole dolore o almeno un’idea vaga di dolore. Una volta una grande letterata mi ha detto: “Non sei un grande poeta perché non hai mai provato un grande dolore”. In poesia oggi è vietato tassativamente non esprimere dolore. Dopo la tv del dolore, ora c’è la poesia del dolore. Che poi c’è una validissima e anche memorabile scrittura del trauma, ma questa esibizione di traumi senza un minimo di distanza da parte di molti aspiranti poeti mi sembra eccessiva: è pornografia del dolore! Se ci sono poetesse geniali e memorabili come la Rosselli o la Merini in questo ambito, oggi ci sono tanti e tante che le scimmiottano. Se è vero che il “patimento” leopardiano affratella gli uomini, è anche vero che oggi tutti esibiscono il dolore, con risultati talvolta infelici. Maggiani si colloca fuori da tutto ciò. Il poeta è discreto, avveduto, riservato. Il suo dolore rimane in gran parte privato, raramente fa capolino nei suoi versi. Più che trattenuto il suo dolore è sublimato. Ma il poeta è innovativo anche sotto un altro punto di vista, quello della riduzione o addirittura dell’eliminazione dell’io lirico. Mi chiedo ancora una volta quale sia la vera poesia di ricerca? Quella comunemente intesa a livello letterario o quella che si avvale della ricerca scientifica, come nei componimenti di Maggiani? Succede che spesso faccio sempre le solite cose, penso i soliti pensieri e qualche volte finisco per chiedermi: io o non io in poesia? Perché si deve scegliere il non io? Perché si deve scegliere di non esistere, visto che esisto solo quando sono io? Ridurre fino all’inverosimile l’io è come essere un quadro attaccato alla parete, che non vorrebbe il chiodo che lo sostiene (rimuovere l’io lirico è una questione psicologica e filosofica prima che letteraria). Ridurre o eliminare l’io è solo pura teoria: all’atto pratico anche chi dice che bisogna ridurre l’io nei suoi versi non lo riduce e scrive poesie confessional o pseudotali, come scrivono tutti gli altri o quasi. Ci vorrebbe maggior equilibrio sia in teoria che in pratica. La poetessa Maria Borio sostiene che in poesia bisogna trovare l’equilibrio tra l’io e il tu: bisognerebbe allora ritornare al tu del tanto bistrattato (recentemente) Montale, soprattutto dell’ultimo Montale. Ebbene in questa raccolta di Maggiani c’è un equilibrio mai precario tra io e mondo. Maggiani però, a ben vedere, trascende la questione io o non io, la ritiene secondaria, affrontandola e superandola (il poeta ne ha piena consapevolezza), senza mai aggirare o eludere questa problematica. E poi se l’n+1 gaddiano, ovvero l’ideale a cui tendere, fosse raggiungibile o sfiorabile solo con la scienza? Se l’n e l’n-1 in poesia fossero le strade già percorse da tutti? Queste due domande bisogna porsele. La poesia di Maggiani in questo senso è una continua doppia sfida, sia nei confronti di sé stesso come autore che nei confronti dei lettori. Il poeta cerca di conoscere il mondo e vuole aiutare anche il lettore su questa impervia strada gnoseologica. E se Maggiani in una sua recente intervista ha sostenuto che la scienza lo aiuta a capire il come e la poesia il perché delle due cose, alla fine si scopre, dopo una lettura non superficiale delle sue opere, che i due piani sono anche sovrapponibili o intercambiabili. Per tutte queste ragioni le grandi case editrici dovrebbero pubblicare Maggiani (anche se il poeta ha pubblicato sempre con case editrici di qualità e selettive) e se non lo hanno ancora fatto, non è per un suo difetto, ma perché i grandi critici e i grandi editor ignorano la fisica oppure hanno una certa diffidenza nei confronti di essa. Insomma purtroppo vincono gli Arminio, i Guido Catalano, i Gio Evan, che nessuno stronca mai a dovere, con la scusa che sono al di sotto della soglia di un qualsivoglia giudizio critico, anche se la vera ragione è quella di evitare ritorsioni da parte dei follower sfegatati e da parte degli editori, che tengono ben protette le loro galline dalle uova d’oro. Insomma un poeta delle “due muse” come Maggiani non può ancora purtroppo essere compreso a pieno da un’Italia delle “due culture”, come le definiva Snow. Per tutti questi motivi io vi consiglio la lettura di questo libro.

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Nato nel 1972 a Pontedera. Laureato in psicologia. Collaboratore di testate giornalistiche online, blog culturali, riviste letterarie, case editrici. Si muove tra il pensiero libertario di B.Russell, di Chomsky, le idee liberali di Popper ed è per un'etica laica. Soprattutto un libero pensatore indipendente e naturalmente apartitico. All'atto pratico disoccupato.

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