Propaganda: irredentismo e fake news storiche

Dopo le volutamente dimenticate guerre e secessioni che hanno sanguinosamente frantumato (con un ruolo essenziale di Germania e poi NATO) la Yugoslavia, l’attuale conflitto in Ucraina, spacciato per una “novità che rompe decenni di Pace in Europa”, ha riportato alla luce un fenomeno che in effetti caratterizza tutte le guerre, dal tempo di Ramesse II in poi: l’uso propagandistico della menzogna attraverso tutti i tipi di strumento di comunicazione.

La propaganda nelle guerre

Uso che non inizia con lo scoppiare di una guerra ma spesso la prepara e altrettanto spesso la segue per costruire magari le basi per una guerra successiva. Questo uso si perpetua per decenni, a volte per secoli, attraverso la stessa evoluzione degli strumenti utilizzati. Una volta gli affreschi, i poemi, i cantastorie, le sacre rappresentazioni, il teatro, i canti, le leggende, le fiabe,  poi i libri a stampa, i giornali, i fumetti, le ballate diffuse in forma stampata, gli inni e le composizioni orchestrali e bandistiche, poi il cinema, la radio, poi ancora la tv e infine il web.

Esso plasma generazione dopo generazione, forgia gli stessi “valori dominanti” di una comunità che sono sempre, come ricordava Marx, i valori della classe egemone, tranne che nei momenti rivoluzionari in cui ad essi si contrappongono con maggiore successo quelli di classi che puntano a scalzarla, si tratti della borghesia nella Rivoluzione Francese o del proletariato industriale in quella russa o di quello prevalentemente rurale in quella cinese e vietnamita.

La leggenda del Piave

In epoca prefascista, in quella postfascista e con particolare enfasi in quella fascista, nelle scuole ed in altri luoghi italiani di costruzione del consenso e dell’immaginario collettivo, in cerimonie e commemorazioni, decine di migliaia di volte risuona La leggenda del Piave1, canzone presentata  come simbolo della guerra italiana per le “Terre Irredente” (riassunte nell’espressione “Trento e Trieste”).

Quella canzone fu perfino Inno Nazionale provvisorio scelto dal Governo Badoglio dall’8 settembre 1943 fino al giugno 1944, quando venne nuovamente sostituita dall’inno sabaudo (Marcia Reale), largamente rifiutato dai partigiani combattenti della Resistenza e definitivamente archiviata in tale ruolo nel 1946, quando il 12 ottobre venne sostituita da Il Canto degli Italiani di Goffredo Mameli e Michele Novaro (noto come “Inno di Mameli”), sebbene la sua scelta come Inno Nazionale italiano avvenne soltanto il 15 novembre 2017 e sebbene ancora nel 2008 Umberto Bossi riproponesse come inno nazionale proprio La leggenda del Piave.

Propaganda nazionalistica

Questo brano, in effetti, non fu affatto il leit-motiv della partecipazione italiana alla Prima Guerra Mondiale dato che fu scritto solo nell’estate 1918 e pubblicato solo 40 giorni prima della fine del conflitto e lo spartito addirittura dopo la fine della guerra, e del resto il suo testo2 venne più volte rimaneggiato successivamente; ad esempio le parole “Ma in una notte trista/ si parlò di un fosco evento/ e il Piave udiva l’ira e lo sgomento” erano nella versione originale “Ma in una notte trista/ si parlò di tradimento/ e il Piave udiva l’ira e lo sgomento” e si riferivano alla convinzione che la rotta di Caporetto fosse stata causata da tradimento dei reparti italiani e vennero sostituite su richiesta del governo fascista nel 1928 per cancellare quel riferimento considerato indecoroso.

Quella canzone, fu soprattutto uno strumento di propaganda nazionalistica post-bellica e poi ovviamente fascista, fin dalla pubblicazione dello spartito, il cui frontespizio era decorato dal disegnatore Amos Scorzon dall’aquila bicipite austriaca uccisa da un gladio insanguinato romaneggiante (vi campeggiava sull’elsa la scritta “SPQR”), assieme alla seguente frase di D’Annunzio: “Non c’è più se non un fiume in Italia, il Piave; la vena maestra della nostra vita. Non c’è più in Italia se non quell’acqua, soltanto quell’acqua, per dissetar le nostre donne, i nostri figli, i nostri vecchi e il nostro dolore”.

Mistificazione nella Prima Guerra Mondiale

Il fatto è che la prima strofa si riferisce ad un passaggio del Piave delle truppe italiane il 24 maggio “per raggiunger la frontiera/per far contro il nemico una barriera” e presenta quindi l’entrata in guerra italiana come difensiva, mentre in realtà né la frontiera era all’epoca sul Piave (lo fu solo dopo la ritirata italiana successiva alla sconfitta di Caporetto), né i territori italiani erano stati invasi dagli Austroungarici ed era proprio l’esercito italiano ad essere all’offensiva!

Ma questa mistificazione, mai ripudiata, si sovrappone a quella stessa ben più importante circa la differenza fra gli scopi proclamati dell’ingresso dell’Italia in guerra nel 19153 e i risultati ottenuti nel 1918. La guerra era stata fatta in nome del “sacro diritto” di “completare la riunificazione nazionale” con l’acquisizione delle “Terre Irredente” (Trento, Trieste, Gorizia), abitate da popolazioni in maggioranza italianofone sotto il dominio del multietnico e multiculturale Impero degli Asburgo, ad egemonia germanofona; genti certamente non trattate alla pari di quelle germanofone ma che pure avevano rappresentanti nel Parlamento di Vienna, scuole e giornali nella loro lingua, associazioni su base etnica, ecc. .

I confini italiani

Alla fine della Prima Guerra Mondiale, però, i confini italiani comprendevano grazie alla conquista militare terre a maggioranza schiacciante germanofona e ladina (il SudTirol denominato dall’Italia “Alto Adige”) e slavofona (Sloveni delle regioni a ridosso del neonato Regno di Yugoslavia), immediatamente soggette ad una politica assimilazionista, di italianizzazione forzata che il fascismo portò al parossismo, obbligando a stravolgere toponimi e cognomi e vietando lo studio e l’uso delle lingue tedesca, ladina e slovena.

Fu questo uno dei problemi che rese complessa e debole la posizione dell’Italia pur vincitrice alla Conferenza di pace di Versailles, perché essa da un lato rivendicava le terre istriane e dalmate sulla base del principio dell’autodeterminazione etnica caro anche al presidente USA Wilson4, dall’altro pretendeva le terre abitate da germanofoni, ladini e sloveni sulla base invece delle esigenze difensivo-geografiche.

Del resto quelle stesse potenze europee che si batterono per lo smembramento degli Imperi multietnici ottomano e asburgico e la nascita di una serie di “nazioni” indipendenti su base largamente etnica, da un lato soggiogavano centinaia di milioni di Africani e Asiatici a cui il principio di autodeterminazione non si applicava e ingannavano gli arabi spinti alla rivolta antiturca con false promesse di indipendenza panaraba, dall’altro accettavano stati artificialmente composti di genti disomogenee come il Belgio (Fiamminghi e Valloni), la Spagna (questione basca e catalana), la Gran Bretagna insulare (questioni scozzese e soprattutto irlandese), disegnando confini che non tenevano presenti le realtà etno-linguistiche in Polonia, Germania, Yugoslavia, Italia, Grecia.

Nazionalismi e irredentismi

Nazionalismi e irredentismi basati su diritti veri o fittizi e sulla loro più o meno intensa negazione da parte di altri stati, annessioni e secessionismi, si sono intrecciati in tutta la fase post-napoleonica di maturazione di una identità fra “nazione” e “realtà etnoculturale”, in modo spesso rigido ed escludente, da Trento a Leopoli, da Bilbao a Sarajevo, dal Kossovo al Donbass, da Kirkuk a Gdansk, da Fiume a Bolzano, da Salonicco a Smirne.

La loro produzione di risultati rispondenti alle aspirazioni degli irredentisti e ancor più di chi li usa, li appoggia, li manovra non è mai dipesa dalla legittimità effettiva (sulla base del tanto citato “Diritto Internazionale”) delle rivendicazioni di comunità e popoli, da allora ad oggi, ma solo sui rapporti di forza.

Così, per riferirsi alle terre coinvolte nel conflitto fra Italia e Austria, è avvenuto per i SudTirolesi sballottati dall’Impero Austroungarico all’Italia sabauda e poi fascista, alla “opzione” tra Germania hitleriana e Italia mussoliniana, alla annessione al Reich nazista dopo l’8 settembre 1943, per  gli Sloveni e gli Italiani del confine carnico-carsico passati dal dominio asburgico a quello italico, alla annessione alla Germania nazista5 ed infine alla spartizione fra Italia e Yugoslavia, mentre gli altri casi europei sono innumerevoli e tutti segnati da terribili drammi, spesso da esodi di massa, talora da stragi.

Fake news nella propaganda

E’ uno dei campi di maggiore applicazione non solo di specifici falsi (“fake news”) come quello contenuto anche ne La Leggenda del Piave o quelli riversatici addosso dalle propagande belliciste in tanti decenni, ma della logica nefasta del doppiopesismo che vediamo all’opera anche in questi mesi. Così Polacchi, Ungheresi, Cechi e Slovacchi avevano diritto, secondo la Gran Bretagna, a trasformare le loro aspirazioni in uno Stato, Irlandesi e Scozzesi no, l’Italia pretendeva che gli italofoni istriani potessero riunirsi al Regno sabaudo, ma negava che i germanofoni di Bolzano o gli slavofoni della Carnia avessero lo stesso diritto verso Stati altri dall’Italia stessa.

La NATO ha mosso guerra alla Serbia per difendere il diritto di Bosniaci, Croati, perfino Kossovari di crearsi Stati indipendenti ma lo nega a Kurdi, Palestinesi, genti del Donbass, la Spagna rivendica Gibilterra ma nega al Marocco Ceuta e Melilla, la Francia appoggiò le rivendicazioni del Sud Sudan e di Timor Est all’indipendenza ma considera terroristi i Corsi se pretendono la stessa cosa.

Le terre galiziane6 sono la culla e il crogiuolo del nazionalismo ucraino di estrema destra, ferocemente antirusso, ma sono state regalate all’Ucraina, allora parte dell’URSS, da Stalin ed erano state polacche e austriache7; mentre leaders appartenenti alla NATO come Erdogan8 vengono lasciati aggredire i Kurdi e teorizzare (e parzialmente praticare) il neo-ottomanismo, si appoggia a Washington e in molti circoli “democratici” occidentali la rivendicazione separatista di settori dei Tibetani ma si rifiuta ogni riconoscimento ai Sahraoui o ai Berberi.

Le nazioni nel colonialismo

Più in generale, si danno patenti di autenticità o meno a “nazioni” inventate a tavolino dai poteri coloniali (come quasi tutti gli Stati mediorientali ed africani), a confini tracciati dal potere imperialista in fuga con la logica del “divide et impera” come nel caso di quello fra India e Pakistan, e si mantengono farse neocoloniali come i “Territori d’Oltremare” francesi in una logica figlia diretta delle ipocrisie della Francia rivoluzionaria, che negava ai Neri di Haiti quel che proclamava per i Parigini, e dei movimenti romantico-nazionalisti tedeschi ottocenteschi che negavano ai non-Tedeschi i diritti che pretendevano per sé contro il dispotismo napoleonico.

Si confondono in un unico minestrone di condanna e ludibrio da parte delle forze egemoni neoliberali gli imperi multinazionali (zarista, asburgico, ottomano, ma anche quelli del passato come quello cinese, quello moghul, quello persiano, con l’esclusione di quello romano esaltato come radice dell’”Occidente”), l’internazionalismo marxista e quello anarchico ma ci si arroga il diritto di decidere quali nazionalismi siano “politically correct” e quali terroristici, armando i primi e schiacciando i secondi anche militarmente e si nega il carattere imperiale degli USA e delle loro “alleanze” denotate da una subalternità di tutti i loro “partner” che Luttwak spudoratamente ma sinceramente definisce erede dei metodi dell’Impero Romano.

La giornata degli Alpini

Intanto, nelle scuole e in tante cerimonie italiane si canta La leggenda del Piave e quando nel 2022, in piena crisi ucraina e mentre crescono le azioni russofobe contro Dostojevskij, Il Lago dei cigni, le fiabe russe, gli atleti russi, l’Italia decide di onorare il suo Corpo degli Alpini, di tutti i gloriosi episodi storici che lo caratterizzano sceglie come giornata da celebrare il 26 gennaio (un giorno prima della data che commemora le vittime dell’Olocausto nazifascista…), anniversario della battaglia di Nikolajevka del 1943, che vide gli alpini ed altre truppe italiane assieme a reparti nazisti impegnati nella rottura dell’accerchiamento sovietico durante la fuga dal fronte del Don, ossia un evento che fa parte della sconfitta della campagna di aggressione nazifascista all’Unione Sovietica iniziata nel 1941 che vide le truppe italiane, come rileva Schlemmer9, “invasori, non vittime”!

Note:

  1. brano composto nel giugno 1918 da Ermete Giovanni Gaeta (che usava lo pseudonimo E.A.Mario), autore napoletano di canzoni da cabaret fra cui:  Le rose rosse, Santa Lucia luntana, Balocchi e profumi;
  2. Il Piave mormorava
    Calmo e placido, al passaggio
    Dei primi fanti, il ventiquattro maggio
    L’esercito marciava
    Per raggiunger la frontiera
    Per far contro il nemico una barriera
    Muti passaron quella notte i fanti
    Tacere bisognava, e andare avanti
    S’udiva intanto dalle amate sponde
    Sommesso e lieve il tripudiar dell’onde
    Era un presagio dolce e lusinghiero
    Il Piave mormorò: “Non passa lo straniero”
    Ma in una notte trista
    Si parlò di un fosco evento
    E il Piave udiva l’ira e lo sgomento
    Ahi, quanta gente ha vista
    Venir giù, lasciare il tetto
    Poiché il nemico irruppe a Caporetto
    Profughi ovunque, dai lontani monti
    Venivan a gremir tutti i suoi ponti
    S’udiva allor, dalle violate sponde
    Sommesso e triste il mormorio de l’onde
    Come un singhiozzo, in quell’autunno nero
    Il Piave mormorò: “Ritorna lo straniero”
    E ritornò il nemico
    Per l’orgoglio, per la fame
    Volea sfogare tutte le sue brame
    Vedeva il piano aprico
    Di lassù, voleva ancora
    Sfamarsi e tripudiare come allora
    “No” disse il Piave, “No” dissero i fanti
    Mai più il nemico faccia un passo avanti
    E si vide il Piave rigonfiar le sponde
    E come i fanti combattevan le onde
    Rosso del sangue del nemico altero
    Il Piave comandò: “Indietro va’, straniero”
    Indietreggiò il nemico
    Fino a Trieste, fino a Trento
    E la vittoria sciolse le ali al vento
    Fu sacro il patto antico
    Tra le schiere, furon visti
    Risorgere Oberdan, Sauro, Battisti
    Infranse, alfin, l’italico valore
    Le forche e l’armi dell’impiccatore
    Sicure l’Alpi, libere le sponde
    E tacque il Piave: “Si placaron le onde”
    Sul patrio suolo, vinti i torvi Imperi
    La Pace non trovò né oppressi, né stranieri
  3. dalla parte opposta a quella di cui l’Italia era stata formalmente alleata dal 20 maggio 1882 al 1915…;
  4. che se ne serviva peraltro anche come grimaldello per indebolire le grandi potenze europee ed escluderle, sulla base della “dottrina Monroe” da qualsiasi ingerenza nelle Americhe;
  5. e perfino alla creazione da parte dei nazisti del Kosakenland destinato ai collaborazionisti caucasici e cosacchi ed alle loro famiglie nel 1944;
  6. la regione di cui è capoluogo quella città che ha non a caso 4 nomi: Leopol (polacco), Lemberg (tedesco), Lvov (russo) e Lviv (ucraino)…;
  7. Stalin trasferì forzatamente la maggior parte dei Polacchi da quelle terre nei territori regalati a sua volta alla Polonia sottraendoli alla Germania, evacuati dalla popolazione tedesca, senza che gli Ucraini ci trovassero nulla di male nell’acquisire quelle aree e quelle strutture…;
  8. Erdogan persegue un progetto neo-ottomano e prima di diventare leader della Turchia ha apertamente sostenuto l’esistenza di uno “spazio turco” basato su presunti elementi etnoculturali che ha come limiti Trieste e il Tibet;
  9. https://www.laterza.it/scheda-libro/?isbn=9788842079811

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