Questo lavoro non è vita

Il 9 luglio 2021, i 422 dipendenti della Gkn di Campi Bisenzio (Firenze), fabbrica che produce semiassi per l’industria automobilistica, ricevono una email con la quale viene comunicato l’avvio della procedura di licenziamento collettivo per cessazione di attività. Lavoratrici e lavoratori non restano immobili nella rassegnazione, reagiscono immediatamente, raggiungono i cancelli dell’azienda, presidiati da guardie private, e riescono a entrare. Non lo fanno per rabbia, ma per difendere un diritto e per proteggere il proprio territorio dalla delocalizzazione e dall’impoverimento.
Comincia così la lotta operaia più lunga e più strutturata degli ultimi decenni. Una lotta allo stesso tempo potente e fragilissima, che va conosciuta e sostenuta perché ci riguarda tutti. La mobilitazione, da un lato, vuole opporsi a un abuso e, dall’altro, avvia un corpo a corpo con il capitale di straordinaria forza e intensità. Un corpo a corpo non isolato ma in convergenza con movimenti e lotte che attraversano tutto il Paese, seppur spesso sottotraccia.
Mentre questo libro va in stampa, lavoratrici e lavoratori sono ancora lì, hanno costituito un Collettivo di fabbrica, hanno allestito un loro piano industriale credibile e hanno avviato la procedura di azionariato popolare per sostenerlo, che si è chiusa con oltre un milione di euro di sottoscrizioni.
In questi ultimi anni sono stati pubblicati molti libri che hanno raccontato la crisi e le falle del modello capitalistico di produzione e sviluppo, mancava però ancora un libro sul lavoro, che raccontasse la lotta di classe nel XXI secolo.
Questo libro non è solo la storia di una singola battaglia, ma un manifesto che parla a ciascuno di noi, trasversalmente al proprio mestiere. Perché il lavoro è vita. Ma questo lavoro, sfruttato, sottopagato, che ammala il corpo e la mente, in cui puoi essere licenziato in tronco con una email, non lo è più. È necessario gridarlo con consapevolezza, e farlo collettivamente. (dalla pagina del libro)

Il collettivo di fabbrica GKN

Questo libro è frutto delle lotte del collettivo di fabbrica GKN. Una sottolineatura fondamentale per cercare di entrare dentro questo modo di pensare un mondo nuovo. Un mondo sbocciato come un fiore ribelle nato dal letame di un capitalismo sempre più arido e avido. Un fiore seminato dalla coscienza di classe e che sta convergendo, con altri semi, nel vento di una nuova umanità sempre più necessaria. Recensendo su questo blog pensatori come Graeber e Chomsky, capita spesso di leggere i loro inviti a immaginare forme alternative di lotta. La storia, il presente e mi auguro il futuro della ex GKN (ora GFF) ci offre spunti pratici in questo senso.

Come scrivo qualche riga sopra, questo è un libro collettivo. Anche se sulla copertina risulta il nome di Dario Salvetti, accompagnato nel dialogo e nelle riflessioni da Gea Scancarello, faremmo un torto e probabilmente un dispiacere a Salvetti stesso cercando in una persona (o peggio in un personaggio) il leader o l’uomo da seguire. Svuoteremmo, abbruttiremmo e impoveriremmo l’essenza stessa, la specificità e la bellezza collettiva di questa lotta. Lotta che ha saputo andare oltre GKN. Grazie anche alla sua convergenza con la fase storica che viviamo ormai da troppo tempo.

Narrazioni nuove, nemici vecchi

Il libro fornisce al lettore, soprattutto a chi meno conosce la vicenda, nuovi punti di vista e inversioni di paradigma. Riappropriarsi della narrazione è tanto più necessario quanto più il capitale, come sta facendo con forza da decenni, svilisce e svuota quelli che sono i concetti chiave della lotta di classe. Un pensiero che abbraccia ogni aspetto della vita quotidiana. Sono interessanti alcuni passaggi in cui si prende coscienza della trasposizione dell’importanza della lotta nella realtà giornaliera.

Come se il potere conducesse costantemente una lotta contro ogni singola persona, trattandola come una microazienda da sottomettere al suo volere. In questo modo vince sempre, poiché già essere costretti a giocare al gioco di chi fa le regole è una sconfitta. Il potere alimenta il potere in un continuo parossismo perchè “se la terra è tonda e se il mare è blu, da che mondo e mondo il forte vince e non sei tu (Cangaceiro – Litfiba)”.

[…]È ovvio che hanno dalla loro parte alcuni strumenti importanti, tra cui il fatto di essere lo status quo: a volte possono semplicemente ritirarsi e aspettare che le cose facciano il loro corso. Hanno dalla loro parte anche e innanzitutto il tempo. Ma soprattutto hanno dalla loro parte una verità: per il lavoratore la lotta è qualcosa che va oltre la “normale” vita quotidiana, è un’eccezione, un momento di grosso sacrificio che si fa sperando che qualcuno a un certo punto lo raccolga. Per loro, invece, la lotta contro il lavoratore è la vita quotidiana.[…]

dal libro

Inoltre, in questa fase storica, ci stanno anche convincendo che se perdi, la colpa è tua. Fateci caso:

“La lotta impedisce la ripartenza della fabbrica.”

“Eh! Ma se usciva vestita in quel modo? Cosa pretende?”

“I giovani non vogliono fare sacrifici.”

“Nessuna crisi climatica! La colpa è di chi non pulisce i letti dei fiumi.”

“I vegani inquinano perché mangiano la soia e fanno fallire i piccoli allevatori che amano i loro animali.” (Anche se, mi si permetta la mia personale postilla, li sgozzano, stuprano e vendono per soldi).

La lotta crea, la lotta insegna

[…] Dobbiamo essere bravi a inventare ogni volta qualcosa di nuovo. A continuare in questa eterna azione pedagogica che è la lotta.[…]dal libro

Mi sono ritrovato molto in questa frase. Ho sempre pensato, riflettendo sulle vicissitudini del lavoro in Italia, che uno dei mali principali è stato proprio quello di abbandonare la pedagogia della lotta. Qualcosa che se ci pensiamo è collegata anche all’antifascismo. Ci dicono che sono concetti vecchi, che c’è bisogno di “pacificazione”, che il fascismo è morto 80 anni fa e intanto continuano a reclutare servi, impedire manifestazioni antifasciste e scioperi e proteggere commemorazioni di assassini. Il potere può farlo perchè senza pedagogia della lotta manca la coesione sociale.

Riprendere la pedagogia della lotta è fondamentale per offrire ragionamenti, cause e risposte ai problemi reali delle persone. La lotta crea e insegna che nessuno si salva da solo e che attaccare chi sta peggio porterà solo ad avere due persone che stanno peggio di prima mentre chi li ha messi contro ci guadagna. Inventare e reinventare la lotta di classe, internazionalizzarla nell’intersezionalità allontana le persone in difficoltà dal pensare che il fascismo possa essere una risposta. La lotta addensa la società liquida e disgregata, funzionale al capitale, e crea mutuo aiuto e libertà. Lottare insieme attorno agli stessi bisogni reali, comuni per tutti gli sfruttati, è anche l’unico modo possibile di fare vera integrazione.

“Puzziamo di incontrollabilità”

Per questo motivo la ex GKN, e soprattutto il suo esempio, ha molti nemici. In quattro anni ha mantenuto una coerenza encomiabile non permettendo a nessuna istituzione di mettere il cappello per vincere un’elezione o crescere nei sondaggi. Ha realizzato tre edizioni del festival di letteratura working class. Ha predisposto un piano di reindustrializzazione dal basso credibile e dettagliato e continua a creare valore in tanti modi. Partendo dal presidio ancora attivo a Campi Bisenzio e in giro per l’Europa. Soprattutto sta diffondendo un’idea pericolosissima per sottrarsi e sottrarci alle regole del potere: “immaginare il tempo altro per uscire dal qualunquismo consumista del salario”. Mi auguro che questa lotta rimanga il più orizzontale possibile resistendo alla tentazione di cercare la risposta in una classe dirigente verticale o qualcosa di simile. Solo imparando dalla storia si può scrivere una nuova storia.

La libertà non è un lusso

Per questo paragrafo finale metto a confronto due citazioni che stimolano una riflessione.

La libertà inizia quando riusciamo a liberarci dal regno delle necessità.

Dario Salvetti tratta dal libro

“Il lusso è la necessità che inizia quando la necessità finisce.”

attribuita a Gabrielle Coco Chanel

Notiamo certamente un punto in comune; la necessità. Ma considerando che la seconda frase è spesso utilizzata (forse superficialmente) per giustificare la tendenza verso bisogni indotti e per loro natura effimeri, potremmo riflettere su cosa davvero è importante. La pienezza e la ricerca dell’evoluzione individuale che può darci il tempo liberato dalle necessità o la creazione di necessità che tali non sono e che ci mantengono prigionieri?

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