Rastrellamenti nazifascisti e Roma: dalle Fosse Ardeatine al Quadraro 

Silvio Marconi 

Definizione e storia del rastrellamento

Wikipedia definisce così il termine “rastrellamento”: “Il rastrellamento, nel lessico militare, indica una manovra condotta da una certa quantità di veicoli e/o di soldati, avanzando da diverse direzioni in un’area specifica verso zone di combattimento, durante la quale si effettua una perquisizione dei luoghi interessati e quindi si va alla ricerca di persone e/o oggetti”.  Tale tecnica veniva impiegata già nell’antichità da parte di tutti gli eserciti e, quando avveniva non semplicemente in territorio nemico ma contro insorti o ribelli (anche nel territorio proprio), aveva sempre due ulteriori finalità non citate nella definizione di Wikipedia: terrorizzare le popolazioni civili per spezzare il loro appoggio agli insorti/ai ribelli e catturare persone da utilizzare come forza lavoro coatta (in antico come schiavi). 

Così lo intendevano quel Giulio Cesare che vi aggiunse l’obiettivo del depopolamento di ampie regioni galliche1, i Cavalieri Teutonici, i Crociati, gli Ottomani, perfino Napoleone che lo usò in Egitto, in Spagna, nella Campagna di Russia o lo Stato sabaudo che lo usò (senza la componente genocidaria) nel Meridione. Dalla seconda metà del XIX secolo tale tecnica, nella sua accezione ampliata, venne abbandonata in Europa e riservata alle guerre coloniali compiute da quasi tutti gli Stati europei occidentali2 e nella Prima Guerra Mondiale tornò ad essere limitata al suo significato ristretto, salvo pochissime eccezioni3

La brutalità dei regimi di Hitler e Mussolini

I regimi hitleriano e mussoliniano4 trasferirono nel teatro europeo le pratiche che erano state considerate “normali” ed usate da tutte le potenze coloniali nei conflitti in territori extraeuropei: la fucilazione di ostaggi, lo stupro etnico, la tortura sistematica, la deportazione di massa di civili, la pulizia etnica, la distruzione di villaggi, le punizioni collettive mascherate da “rappresaglie”5, i campi di concentramento e di sterminio, ecc. . In questo quadro la tecnica del rastrellamento assunse una importanza essenziale, sia nella lotta antipartigiana, sia nella cattura di civili da deportare ed in parte sterminare nei lager (Ebrei e non), sia nel terrorizzare territori che potevano supportare la Resistenza, sia nel procurarsi mano d’opera da schiavizzare. 

Tale tecnica fu usata in grande in Polonia, in Grecia, in Yugoslavia, in URSS ed in misura minore in Occidente6, ma dopo l’8 settembre 1943 l’Italia venne considerata “terra di traditori” dai nazisti e dai loro servi repubblichini e quindi nell’ambito dell’Occidente essa subì un trattamento ben peggiore di altri territori, anche perché vi vennero utilizzati reparti tedeschi reduci dalle stragi e dai crimini sistematici commessi sul fronte orientale (Polonia e URSS) e reparti repubblichini spesso guidati da ufficiali che avevano partecipato con le truppe del Regio Esercito a crimini in Grecia, Yugoslavia, Albania, URSS7. Ad esempio in Francia vi fu una sola strage di massa nazista (Ouradour), il 10 giugno 1944 con 642 vittime, mentre le vittime accertate delle stragi nazifasciste in Italia sono oltre 25.000. 

Tipologie e obiettivi dei rastrellamenti nazifascisti in Italia

In Italia si realizzarono differenti tipi di rastrellamenti nazifascisti. Ve ne furono in zone extraurbane, con diversi scopi quasi sempre concomitanti: terrorizzare i civili che potevano supportare la Resistenza e, in alcuni casi (ad esempio nell’Appennino tosco-emiliano, in Friuli, ecc.) cancellare la popolazione di intere aree per impedire tale supporto; colpire direttamente le forze partigiane8 soprattutto dopo che il proclama Alexander dell’inverno 19449 aveva permesso ai Tedeschi di ritirare reparti dal fronte e dedicarli ai rastrellamenti; catturare civili per i lavori forzati, in Italia per la “Organizzazione Todt” o in Germania. 

Vi furono anche differenti tipi di rastrellamenti in aree urbane, con scopi in questo caso più specifici. Fermo restando l’obiettivo sotteso di terrorizzare la popolazione per controllarla ed evitarne l’appoggio ai partigiani, si possono distinguere tre tipi di rastrellamento nazifascista: il primo era finalizzato alla cattura di renitenti alla leva fascista ed avvenne in tutte le città sotto occupazione; il secondo era finalizzato alla cattura di mano d’opera da deportare per il lavoro coatto ed il terzo era finalizzato alla cattura e deportazione di categorie specifiche dei residenti. A differenza del caso extraurbano, pochi sono i casi di rastrellamenti finalizzati esplicitamente alla cattura di partigiani, affidata in città assai più alla efficace rete di delatori. 

Rastrellamenti nazifascisti a Roma: tra deportazioni e resistenza

Roma e i suoi dintorni conobbero tutti i tipi di rastrellamenti nazifascisti. Meno di un mese dopo la resa della città grazie alla codarda fuga sabauda, il 7 ottobre 1943 sulla base di un ordine del generale Graziani, vennero catturati a Roma e deportati in Germania 2.500 Carabinieri, attraverso un rastrellamento sui generis, in quanto prima fu loro ordinato di raggiungere le rispettive caserme e poi queste vennero accerchiate dai nazisti, mentre si svolgeva pure la caccia a personale isolato in città. Il 16 ottobre 1943 avvenne quel rastrellamento degli Ebrei romani che erroneamente è detto “rastrellamento del Ghetto”, mentre assieme all’operazione principale al Ghetto si svolgeva una caccia mirata (sulla base degli elenchi della polizia fascista e degli aggiornamenti forniti da collaborazionisti) agli Ebrei in varie parti della città, da Nomentana a Gianicolense10; tale rastrellamento da parte  di un reparto nazista proveniente dall’Olanda e a cui era del tutto ignota Roma, fu reso possibile solo dall’aiuto determinante dei fascisti locali. 

La caccia ai renitenti e talora a personale da impiegare come lavoratori forzati più che a veri rastrellamenti venne affidata a improvvisi blocchi stradali e pattuglie che arrestavano per strada, davanti a un cinema, ecc., mentre nelle aree di lotta partigiana laziali si svolgevano rastrellamenti extraurbani come a Monterotondo, sul Monte Tancia, nella zona di Palestrina che vedevano morire civili e partigiani, italiani e sovietici. 

Dalle repressioni di via Rasella alla strage delle Ardeatine: la risposta di Hitler

Un cambiamento si ebbe dopo l’eroica azione armata dei GAP di Via Rasella del 23 marzo 1944, esaltata dal Comando Alleato e da Radio Londra come “la più importante azione armata contro i nazisti in una capitale europea occupata”; subito dopo l’attacco si ebbe un rastrellamento di civili nell’area dell’attacco e molti di loro finirono poi a Regina Coeli e furono tra i selezionati per la strage delle Ardeatine, ma un furibondo Hitler voleva assai di più e inizialmente decise che sarebbero stati deportati gli abitanti romani di interi quartieri notoriamente “inquinati” dall’antifascismo (Testaccio, Trastevere, S.Lorenzo). Furono i generali tedeschi in Italia a spiegare che era impossibile non per ragioni umanitarie, ma per ragioni operative, perché per realizzare quell’idea servivano divisioni tedesche da sottrarre al fronte, cosa quindi non praticabile. 

Si decise allora per la strage, che Kappler eseguì alle Ardeatine, secondo un rapporto (in realtà sfondato di 5) fra caduti tedeschi e vittime11 di 1 a 10, che viene spacciato come “regola di rappresaglia” ufficiale tedesca, mentre non solo non è prevista nel codice militare tedesco ma non è neppure un numero standard, posto che Tedeschi, collaborazionisti ustascia (e in alcuni casi Italiani) durante l’invasione della Yugoslavia applicarono invece l’1 a 50 o l’1 a 100 e quest’ultimo criterio, già sperimentato nelle guerre coloniali, di 1 a 100 venne sempre applicato (e spesso superato) dai nazisti e dai collaborazionisti in Polonia e URSS. 

L’Operazione Balena: strategie di terrore nel Quadraro post-Ardeatine

Ciononostante, già subito dopo la strage delle Ardeatine del 24 marzo, Kappler pensò, col consenso di Kesselring, ad una operazione di rastrellamento che ottenesse i seguenti scopi: terrorizzare ulteriormente la popolazione romana per favorirne il distacco dal movimento resistenziale12 ed evitare si ripetesse l’epopea delle Quattro Giornate di Napoli che metteva in pericolo l’eventuale ritirata ordinata tedesca da Roma, colpire una zona che era diventata covo partigiano, di renitenti alla leva, dove addirittura si svolgevano comizi antinazifascisti, procurarsi mano d’opera da schiavizzare in quelle aziende tedesche che con le crescenti richieste di personale per il fronte, specie orientale, vedevano calare il numero dei propri dipendenti e si basavano ormai essenzialmente su schiavi razziati in tutta Europa e specialmente all’Est. 

Nacque così la Unternehmen Walfisch (in italiano Operazione Balena), che si sviluppò il 17 aprile 1944 contro la borgata romana del Quadraro che i Tedeschi definivano  per le sue attività resistenziali “nido di vespe” e che si collocava fra due aree militari strategiche tedesche: l’Aereoporto di Centocelle e gli stabilimenti cinematografici occupati di Cinecittà.  

Resistenza e rastrellamento

Nel Quadraro, oppresso dalla fame ma mai domo, operavano partigiani socialisti (come Basilotta), del Fronte Clandestino dell’Arma dei Carabinieri (marescialli Di Leo e Floridia e loro uomini), del Partito Comunista (Forcella e altri), sacerdoti (come Don Rey e Monsignor Nobels), si dava assistenza a renitenti e prigionieri alleati fuggiti, si tenevano le comunicazioni coi nuclei comunisti, anarchici, di Bandiera Rossa di Tor Pignattara, Centocelle, Pigneto, Quarticciolo, si aveva la collaborazione perfino di agenti della PAI (Polizia Africa Italiana) e i partigiani giravano in pieno giorno. 

La borgata all’alba venne circondata da ingenti truppe tedesche e poi rastrellata strada per strada e casa per casa da soldati, SS, forze della Gestapo e collaborazionisti fascisti fra cui i torturatori della Banda Koch; man mano che gli uomini fra i 18 e i 60 anni venivano catturati erano concentrati nel Cinema Quadraro per un primo filtraggio, poi quelli non rilasciati venivano trasferiti in camion al campo di concentramento degli stabilimenti cinematografici di Cinecittà, per un secondo filtraggio e circa 750 vennero portati in camion a Grottarossa, poi in treno a Terni, poi trasferiti al campo di concentramento di transito di Fossoli. Il 24 giugno 1944, mentre Roma era già libera da 20 giorni, i deportati del Quadraro vennero inviati da Fossoli ai luoghi di sfruttamento schiavistico in Germania e perfino in Polonia, ove circa la metà morì, mentre altri morirono dopo il ritorno, negli anni successivi, per gli stenti e le malattie (in particolare tbc) contratte durante il lavoro schiavile. 

Riconoscimento e memoria: l’eredità della Resistenza nel Quadraro

Il rastrellamento del Quadraro e la Resistenza a carattere popolare, interclassista, intergenerazionale del Quadraro e di altri quartieri popolari della cintura Est-SudEst di Roma13 e di altre zone periferiche della Capitale (come quella delle fornaci della Valle dell’Inferno in zona Aurelia) è stata per decenni sottovalutata, nell’ambito di una più generale sottovalutazione della Resistenza romana, con poche eccezioni ridotte troppo spesso ad episodi decontestualizzati e proprio per questo difficili da comprendere davvero. 

La Resistenza in quei territori popolari, che vivevano già prima della guerra (anche grazie al trasferimento coatto di migliaia di popolani dalle aree degli sventramenti mussoliniani al centro di Roma) in condizioni sociosanitarie gravissime, aggravatesi con l’occupazione nazifascista e con l’arrivo pure di profughi dalle aree del fronte sud, fu un fenomeno complesso che vide l’intreccio fecondo non solo di persone con idee, motivazioni, condizioni sociali differenti, ma anche di forme di auto-organizzazione dal basso, assenti in altre realtà, con forme di presenza di nuclei organici dei partiti e dei movimenti antifascisti, che includevano il trasferimento in quelle borgate, ad esempio, di molti militanti dei GAP centrali del PCI dopo Via Rasella e le Ardeatine. Se per molti popolani del Quadraro, di Centocelle, di Tor Pignattara il contatto con donne e uomini dei GAP fu una occasione di affinamento della coscienza politica, per quelle donne ed uomini dei GAP, in larga parte di estrazione borghese, fu una occasione di scoprire la realtà delle borgate periferiche romane che esse ed essi non avevano mai neppure visto e di imparare dal popolo grandi lezioni di vita e di lotta. 

Solo il 17 aprile 2004, a 60 anni dal rastrellamento, finalmente il Municipio X del Comune di Roma, che include il Quadraro, è stato insignito della Medaglia d’Oro al Valor Civile per le sue attività resistenziali e per le vittime di quello che fu il maggiore rastrellamento nazifascista in area urbana in Italia dopo quelli  (con caratteristiche diverse) dei Carabinieri e degli Ebrei, tutti svoltisi a Roma; nel 2019 è stato eretto un gruppo statuario in ricordo del rastrellamento, fatto segno negli anni successivi ad attacchi vandalici dei neofascisti, eredi mai pentiti e troppo spesso tollerati dei collaborazionisti degli hitleriani. 

Note: 

  1. portando secondo gli storici ad 1 milione di morti ed 1 milione circa di schiavizzati; un Cesare che in Italia (certamente non in Francia…!) si vede intitolare licei, piazze, vie nonostante che oltre ad essere un genocida fu anche un golpista e un violatore delle stesse leggi romane…: 
  1. in particolare Francia, Gran Bretagna, Belgio, Italia, Germania, Olanda, Portogallo, Spagna; 
  1. soprattutto durante le occupazioni tedesche del Belgio e di alcuni territori sul fronte orientale; 
  1. ed i loro alleati (Finlandesi, Rumeni, Ungheresi) e collaborazionisti (Baltici, Ucraini, Croati, fascisti norvegesi e belgi, petainisti francesi, ecc.); 
  1. peraltro vietate dagli stessi codici militari tedesco e italiano dell’epoca! 
  1. le vittime sul posto dei rastrellamenti nazifascisti si contano complessivamente in Occidente in molte decine di migliaia, all’Est in svariati milioni, i deportati a seguito di rastrellamenti sono ancora una volta molte decine di migliaia all’Ovest, molti milioni all’Est; 
  1. e prima ancora Etiopia, Somalia, Libia…; 
  1.  ma vi furono numerosi rastrellamenti in totale assenza di partigiani; 
  1. che rendeva pubblico l’arresto invernale delle offensive angloamericane e chiamava i partigiani a tornarsene “temporaneamente” a casa; 
  1. i deportati furono 1.259 persone (689 donne, 363 uomini e 207 bambini); 
  1. nonostante quel che si è ripetuto anche recentemente i 335 trucidati alle Ardeatine non erano tutti Italiani e fra loro c’erano cittadini di altre nazioni; 
  1. e rafforzare le tendenze attendiste, care al Vaticano e a taluni ambienti liberal-conservatori, presenti in alcune componenti della Resistenza romana contrarie a costruire le condizioni per quella insurrezione in armi propugnata da comunisti, azionisti, socialisti, nel CLN e Bandiera Rossa e anarchici fuori di esso che sarebbe poi avvenuta a Firenze, Genova, Torino, Milano, Venezia, ecc.; 
  1. la cui rilevanza anche militare era data dal fatto che si trovavano a cavallo delle vie consolari che servivano ai Tedeschi alle comunicazioni col fronte a Sud di Roma e proprio per questo furono oggetto di ripetuti attacchi, anche con l’uso dei “chiodi a quattro punte” alle colonne di veicoli tedeschi; 

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