Recensione a cura di Federico Renzi
La silloge si compone di 53 poesie. Nel poetare di Riccardo Renzi immediatamente si percepisce un sottile fil rouge che collega tra loro in una rete inscindibile tutti i componimenti. Questa poesia va a distinguersi e defilarsi da quella grande accozzaglia di cantores Euphorionis che popolano l’editoria d’oggi. Un classicismo sostanzioso e spesso molto ricercato, ma latente, emerge con versi brevi e coincisi, che dettano tempi e scandiscono spazi. Molteplici sono i richiami alla grande letteratura e filosofia del passato, da Omero a Pasolini, da Ungaretti a Kant. Come non leggere nei seguenti versi un lampante richiamo kantiano al «cielo stellato sopra di noi»:
Il cielo stellato
Infinito il cielo stellato sopra di noi, infiniti mondi, sterminati spazi, tutto richiama l’immensità creatrice, madre nostra, madre tua e di chi come noi per secoli il mondo ha popolato.
Ma i richiami ai grandi della letteratura del passato non si esauriscono qui. L’autore a volte sembra volersi collegare e connettersi con il “Gigante di Recanati”1, come nel caso del seguente componimento:
Le nubi
Sparute si condensano goccioline di rugiada, una chiocciola sinuosamente scivola sull’erba bagnata, un fiore si volta, d’incanto l’osserva.
In lui emerge un chiaro amore per il classicismo e i paesaggi del romanticismo, un chiaro esempio di ciò è costituito dal componimento dedicato a Roma:
Roma
Roma, città eterna, folgorante fiore, d’immensa bellezza, Nel passato suo dolce, affoga il ricordo, Un passato di gioia, un passato di gloria, Che del futuro toglie speranza. Come donna riflessa allo specchio, rimpiange la sua giovinezza. I fasti del passato riecheggiano in ogni angolo, rimbombano in ogni strada.
Nell’eloquenza garbata, fatta di una retorica che si presta al senso più latino della grammatica, il verso essenziale e minimale è la balenante epifania di una sorta di tratteggio Morse, il quale descrive con un linguaggio alternativo un messaggio che spetta al lettore codificare nel suo più reale ed intimo significato: non sono le parole i cardini di questa poetica, ma il continuo riferimento all’enjambement, ovvero quella sospensione che si connota come un respiro lungo, durante la quale lo sguardo coglie un elemento e su di esso si sofferma, indagandolo, per poi proseguire oltre e passare al successivo. I paesaggi del sud della Marca permeano profondamente ogni singolo componimento e da ciò si evince il chiaro legame tra l’autore e la sua terra. La natura è emblema stesso della vita, in una rappresentazione matriarcale della stessa. Non c’è gnomica in questi carmi, eppure il lirismo sembra concludersi con un non so che di sentenza, che alla dolcezza della descrizione introduttiva contrappone un afflato amaro. Ciò richiama chiaramente la poesia luziana2, soprattutto quella del periodo giovanile, connotata da un forte credo religioso che spesso si rispecchia in una “madre creatrice” e che alla fine lascia sempre dell’amaro, come un’immanenza del male.
Non intendo spendere altre parole e non mi resta che augurarvi una buona lettura.