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Ricordare chi? Cosa?
Il 19 febbraio (Yekatit 12, secondo il calendario della Chiesa Cristiana Etiopica) è l’anniversario dell’avvio della orrenda strage durata almeno tre giorni perpetrata da truppe, camicie nere e civili italiani nel 1937 ad Adiss Abeba occupata, in seguito all’attentato solo parzialmente riuscito ad opera di due patrioti locali contro il leader coloniale italiano Rodolfo Graziani, che ne risultò ferito.
Massacro a Addis Abeba: la brutale violenza italiana in Etiopia durante l’occupazione
Per oltre 72 ore, bande di Italiani in divisa e in borghese massacrarono migliaia di abitanti della capitale etiope usando armi da fuoco, accette, spranghe, stuprarono donne e bambine, saccheggiarono e incendiarono interi quartieri, dando inizio ad una fase di acutizzazione delle violenze ben oltre la capitale etiope, peraltro già sistematiche contro una popolazione etiope che in larga misura si ostinava a non accettare il dominio italiano e che in forme significative sviluppava una forte resistenza contro gli occupanti italiani che rese impossibile durante i cinque anni in cui essa durò (fino alla liberazione dell’Etiopia da parte dei Britannici coadiuvati dai partigiani locali) un effettivo controllo del territorio ad opera degli invasori.
Tre mesi dopo, seguendo gli ordini di Graziani, la colonna militare comandata dal generale Pietro Maletti attaccava il centro monastico di Debra Libanòs, il 20 maggio 1937, massacrandovi alcune migliaia di monaci e giovanissimi diaconi e altri civili, in una strage dieci volte superiore a quella nazista delle Fosse Ardeatine del 1943 e senza paragoni contro religiosi cristiani africani da parte di truppe cristiane europee.
Repressione brutale e uso di gas: l’orrore dell’occupazione italiana in Etiopia
Intanto, si acuiva la repressione in tutte le aree di quell’Etiopia che gli Italiani avevano conquistato usando i (vietati) gas asfissianti, contro truppe e civili, sistematicamente, tramite proiettili di artiglieria e bombardamenti aerei (primo caso di tali bombardamenti al gas nella Storia mondiale) e si infieriva uccidendo fra l’altro i “cantori di villaggio” indicati come propagandisti della resistenza anti-coloniale dal collaboratore di Graziani Enrico Cerulli, etnologo, docente universitario, insigne islamista (aveva dimostrato le influenze islamiche nella Divina Commedia di Dante), nominato da Graziani a dirigere la regione etiopica a maggioranza musulmana dell’Harrar, dove tra l’altro, come nell’altrettanto musulmana Oromyia, venivano reclutati i più feroci collaborazionisti degli Italiani contro i Cristiani etiopi, a partire da quei Galla (denominazione dell’epoca degli Oromo) che erano detti “eviratori Galla” dato che ottenevano premi per i nemici uccisi in base al numero di testicoli asportati ai loro cadaveri.
Crimini italiani in Africa e l’impunità postbellica
Nessuno dei responsabili dei crimini italiani in Africa è stato mai condannato, anzi, molti di essi, come Cerulli, dopo la Liberazione sono stati mantenuti o reintegrati nei loro incarichi sia in termini di docenza, sia negli alti ranghi della diplomazia italiana, tanto che Cerulli è l’autore postbellica della Costituzione e perfino della bandiera della ex-colonia italiana Somalia, che peraltro si caratterizza da decenni come il primo “Stato disciolto” della modernità dopo la dittatura di Siad Barre (formato alla Scuola Carabinieri…), terribili guerre civili, ingerenze dell’integralismo islamico e dei petro-regimi arabi e interventi militari occidentali, compresi quelli italiani, che hanno generato solo lutti, stupri, rapine e lo sfascio definitivo del Paese, dai confini inventati, come per quasi tutti gli Stati africani, dal colonialismo europeo, in questo caso proprio da quello italiano.
La storia di Ilio Barontini e gli antifascisti italiani in Etiopia, eroi dimenticati
Nessuno degli eroi italiani che come Ilio Barontini andarono in Etiopia a partecipare dalla parte degli Etiopi alla lotta contro i colonialisti fascisti viene ricordato nelle scuole o da film, nonostante che, figlio di una famiglia di formazione anarchica di Cecina (ed egli stesso anarchico e poi socialista nell’adolescenza che visse da operaio tornitore, poi comunista dal 1921), sia stato un eminente antifascista, membro degli Arditi del Popolo, dirigente comunista, militante internazionalista in Cina, Spagna, Etiopia, comandante partigiano in Francia e poi in Italia, decorato sia dai Sovietici che dagli Alleati, deputato all’Assemblea Costituente e poi Senatore.
In effetti in Etiopia il PC italiano in collaborazione con quello francese organizzò ad opera di Giuseppe Di Vittorio e Giuseppe Berti una spedizione di appoggio all’addestramento di guerriglieri etiopici che vide la partecipazione di Ilio Barontini “Paul”, Bruno Rolla “Petrus” (dal marzo 1939), Anton Ukmar “Johannes” e il francese Robert Mounier “Andreas”, tutti con nomi di battaglia tratti dalla tradizione apostolica cristiana cara agli Etiopi e per questo denominati “gli Apostoli”, ma ben poco si parla dell’epopea antifascista di costoro che, non a caso, come lo stesso Di Vittorio, vengono spesso da esperienze giovanili anarcosindacaliste e poi in quegli Arditi del Popolo che, apprezzati da Gramsci e perfino da Lenin, vennero volutamente boicottati dai Socialisti e dai Bordighiani del neonato PCd’I; una sottovalutazione che se è ovvia da parte dei soggetti, delle organizzazioni, dei governi di centro, di destra e centrodestra italiani è avvenuta anche nelle fasi dei governi di centrosinistra, di unità nazionale o delle recenti accozzaglie trasversali.
Controversie memoriali: il caso di Graziani e Douhet nell’Italia contemporanea
Intanto, dal 2012 il Comune di Affile (con un finanziamento della Regione Lazio) ha fatto perfino erigere un Memoriale per onorare Graziani, pluricriminale di guerra (in Libia, Etiopia e poi da repubblichino nella repressione antipartigiana) e collaborazionista dei nazisti (fra l’altro firmatario personalmente dell’ordine con cui vennero arrestati e deportati in Germania migliaia di Carabinieri a Roma nell’ottobre 1943).
Intanto negli anni fra il 2009 e il 2012 l’Italia nata dalla Resistenza intitola la struttura formativa dell’Aereonautica Militare Italiana a quel Douhet che fu il teorizzatore fin dagli anni ’20 (col suo testo “Il Dominio dell’aria”, ristampato nel 1931) della tattica del bombardamento aereo terroristico a tappeto che vede nei quartieri di abitazione non “risultati collaterali spiacevoli” ma l’obiettivo primario dell’azione per far crollare il morale nemico attraverso la strage dei civili e che addirittura raccomanda tre ondate, la prima con bombe incendiarie, la seconda tesa a colpire i soccorritori, la terza con bombe a gas.
I crimini coloniali italiani: dalle bombe a gas in Etiopia alla tattica del terrore in Europa
Una tattica che, sia pure senza utilizzare le bombe a gas (tranne nel caso appunto etiope), italo- tedeschi sperimenteranno in Spagna (Guernica, Barcellona), che i nazisti useranno criminalmente su Varsavia e Rotterdam e (assieme di nuovo agli Italiani) sulla Gran Bretagna (Londra, Coventry), su Leningrado, Mosca e Stalingrado e che infine gli Angloamericani useranno su Italia (Milano, Napoli, Roma, Torino, ecc.), Francia (Caen), Germania (Amburgo, Dresda, ecc.) e Giappone (Tokio e poi in forma atomica Hiroshima e Nagasaki) ma che era stata già sperimentata “in piccolo” su villaggi etiopi dagli Italiani nel 1936.
Il silenzio su Affile e la negazione della storia
Ancora oggi, il 19 febbraio in Etiopia è lutto nazionale, ma in Italia, a parte alcune Associazioni di Etiopi e l’ANPI (che da anni si batte senza successo anche in sede giudiziaria per la condanna dei responsabili istituzionali del Memoriale di Affile a Graziani e la sua rimozione), nessuno svolge alcuna iniziativa, men che mai mediatica o nelle scuole, su quella data e sull’insieme dei nefandi crimini commessi dagli Italiani in Etiopia (ed anche in Libia, Grecia, Albania, Yugoslavia, URSS…). Per anni solo il grande storico Del Boca e pochi altri hanno denunciato, documentandoli, i crimini italiani in Africa, insultati e vilipesi da tanti, fra cui quel Montanelli che si gloriava di aver ottenuto da ufficialetto italiano in Etiopia una ragazzina minorenne in vendita… .
La glorificazione del MSI e il silenzio sui crimini di guerra italiani
Naturalmente neppure una parola sui crimini italiani in Africa è stata spesa dalla premier Meloni e dalla sua corte nei recenti appuntamenti internazionali riguardanti lo strombazzato piano di intervento per/con l’Africa (finora poco più che una scatola vuota) poco appropriatamente intitolato ad un Mattei che invece appoggiò concretamente i movimenti anticoloniali africani (in primis quello algerino) e fu assassinato grazie al coacervo di interessi di multinazionali petrolifere, neocolonialismo francese e signori CIA di Langley (oggi tutti onorati nella pratica e nelle parole dal governo Meloni ma già onorati quasi nello stesso modo dai governi anteriori).
Assistiamo ormai all’ascesa al governo in forma egemonica (ben più che nel caso di Fini) del partito che si richiama simbolicamente e concretamente a quel MSI che ebbe Graziani (già noto come “il macellaio del Fezzan per le sue “imprese stragiste in Libia anteriori a quelle in Etiopia…) come aderente e presidente onorario dal 1953 e che vide come leader per lungo tempo quell’Almirante (oggi onorato da Fratelli d’Italia ed a cui si cercano di intitolare piazze e strade) che non solo fu collaboratore della rivista fascista antisemita “La Difesa della Razza” ma fu in Provincia di Grosseto (come dimostrato in un processo) firmatario del manifesto che lanciava il bando che comminava la fucilazione ai partigiani e renitenti alla leva fascista emanato proprio da Graziani.
I governi precedenti quell’ascesa, però, di qualsiasi composizione non hanno fatto molto per evitare rimozioni, mistificazioni, autoassoluzioni, stravolgimenti storici, amnesie, sottovalutazioni e perfino onori inaccettabili a criminali di guerra.
La rimozione dei crimini coloniali italiani: dal mancato risarcimento dell’obelisco di Axum alla continuità nel Ministero degli Esteri
Ci sono voluti i “governi democratici” della Repubblica Italiana nata dalla Resistenza per ritardare di decenni la restituzione all’Etiopia, prevista dal trattato di Pace del 1947, dell’obelisco di Axum rubato dagli Italiani nel 1936 e posto davanti a quell’edificio che oggi ospita la sede FAO a Roma ma che nacque come Ministero delle Colonie, mentre tutto il personale di quel Ministero nel dopoguerra venne inserito (mantenendo il livello) nei ranghi del Ministero degli Esteri della Repubblica Italiana nata dalla Resistenza e contribuì largamente ad orientarne nella pratica la politica africana ed a cooptare successivamente nelle carriere diplomatiche e nella struttura (Dipartimento) destinata a gestire la Cooperazione allo Sviluppo figli o seguaci degli stessi ex-funzionari e/o ufficiali coloniali o (proprio nel caso dell’Etiopia) di ex-speculatori e profittatori coloniali.
Quella continuità nei fatti e spesso negli uomini, questa rimozione e mistificazione, ovvia e congenita alle forze neofasciste e di destra ma non estranea anche a troppe forze di altro orientamento, è una delle madri legittime dello sdoganamento del militarismo, del delirio ipernazionalista, della xenofobia, del fascismo avvenuto lungo vari decenni, calpestando il dettame costituzionale che resta il migliore vero figlio della Resistenza e che se fosse davvero applicato on tutte le sue parti, senza stravolgimenti o tentativi di stuprarlo, siano essi berlusconiani, renziani o melonian-salviniani, rappresenterebbe uno strumento di riscatto sociale, di antimilitarismo, di giustizia, di equità, di verità storica e proprio come tale un baluardo inespugnabile contro un passato di orrore che si ripresenta in forme adattate ai tempi.