Come erano belli i nostri tempi, che non ritorneranno più…

ritorneranno
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Non ritorneranno più quelle estati meno torride, più miti degli anni Ottanta. Non ritorneranno più i jukebox, le cabine a gettoni, i mangianastri, i dischi in vinile, i motorini Ciao. Era l’epoca analogica e oggi siamo in quella digitale. Così come non ritorneranno più i politici della prima Repubblica, né il clima politico acceso di quegli anni. Forse non ritornerà più neanche quel benessere economico. Non ritorneranno più i pregiudizi, gli usi, i costumi, le mode, gli stili di vita, i miti, le icone, le ideologie di quell’epoca. Oggi l’epoca attuale ha altre caratteristiche e le paure di un tempo sono state sostituite con nuove paure collettive, nuove isterie e psicosi di massa. Non rtorneranno più gli amici persi per sempre, i familiari ormai scomparsi. Non ritorneranno più gli amori, ricambiati e non, carnali e platonici (che tanto sempre amori veri sono per chi li vive). Non rivedremo più certe ragazze di allora che adesso sono madri mature con figli. Non calcheremo più le piazze che un tempo ci sembravano nostre. Non ci entusiasteremo più come allora per la lettura di qualche libro né per la bellezza della natura o per quella di una passante: lo stupore, la meraviglia di un tempo ormai si sono ridotte notevolmente o forse addirittura perdute per sempre.  Non rivedremo più certi locali ormai chiusi per sempre. Non ritorneranno più quella presunzione, quell’ignoranza, quell’incoscienza, quella voglia di spaccare il mondo, quella gioia di vivere tipicamente giovanili.  Se si ritornasse  a rivedere certi luoghi, ci accorgeremmo che ormai è irreversibilmente tutto cambiato. È questione di spirito del tempo. Insomma non si può ritornare sui propri passi. Il tempo cambia tutto. Troppo tempo ormai è passato. Anche noi siamo cambiati troppo. Non siamo certo più quelli di ieri e anche il nostro cambiamento è irreversibile. Il poeta bolognese Roberto Roversi nel testo di una canzone interpretata da Lucio Dalla scriveva che con gli anni Ottanta era finito tutto, intendendo dire che le persone si erano rifugiate nel privato mentre negli anni Settanta il privato era politico, ed era avvenuto il cosiddetto riflusso, i giovani avevano smesso di credere di poter cambiare il mondo. Ma forse questa concezione di fondo è basata su una falsa premessa, viziata da una certa presunzione dei più vecchi, ovvero che i giovani siano peggiorati nel tempo, fino a descrivere la generazione Z come una massa di debosciati,  viziati, nullafacenti,  etc etc (questo il grande Roversi non lo pensava, ma molti altri sì).  No. A questo gioco al massacro sulle nuove generazioni non ci sto. I giovani di ieri rispetto a quelli di oggi non erano meglio né peggio: erano semplicemente diversi. Forse se proviamo a fare una generalizzazione i giovani del ‘68 erano molto più impegnati politicamente,  ma basta con questa narrazione tipica dei sessantottini, oggi boomer, che dagli anni ‘80 in poi ci sia stato un declino inarrestabile. Se vogliamo dirla tutta il ‘68 lo hanno fatto in pochi e i giovani di oggi hanno un livello di istruzione più alto di quello delle vecchie generazioni.  Questa presunzione generazionale dei sessantottini la si poteva  intuire già dalla fredda accoglienza e dalle critiche negative che a loro tempo fecero alla generazione del ‘77. Ma è una costante antropologica quella di ritenere i tempi in cui eravamo giovani migliori rispetto a quelli presenti. Così come è una costante umana quella di essere affezionati alla propria generazione e di ritenere amici e coetanei migliori delle giovani leve. 

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Nato nel 1972 a Pontedera. Laureato in psicologia. Collaboratore di testate giornalistiche online, blog culturali, riviste letterarie, case editrici. Si muove tra il pensiero libertario di B.Russell, di Chomsky, le idee liberali di Popper ed è per un'etica laica. Soprattutto un libero pensatore indipendente e naturalmente apartitico. All'atto pratico disoccupato.

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