Si tratta di dichiarazioni di Antonio Decaro, sindaco di Bari, riportate su Repubblica del 27 agosto 2017. Parole che rispecchiano in pieno quanto richiesto a gran voce dai e dalle migranti durante le mobilitazioni e gli incontri con le istituzioni (prefettura e comune) negli ultimi anni nella città amministrata dal presidente dell’Anci, così come in tutta Italia. Rivendicazioni che hanno dato vita a percorsi di lotta e lunghe vertenze, durante le quali i “diretti interessati” si sono resi protagonisti della riappropriazione ed assegnazione a scopo abitativo di immobili di proprietà pubblica abbandonati e in disuso.
Soggetti migranti che, senza cedere mai il passo alla disperazione e alla rabbia fine a se stessa, sostenendosi l’uno con l’altro, hanno ottenuto nel 2014 il riconoscimento dell’ex liceo Socrate quale centro abitativo e nel 2015 l’assegnazione di villa Roth dove oggi vivono più di quaranta persone insieme tra rifugiati/e e nativi e native. Sono stati loro, insomma, a fare Politica con la P maiuscola, quella che nasce dall’autorganizzazione sociale. Lo stesso Pubblico ministero della Procura di Bari, nell’estate del 2015 ha riconosciuto legittima, archiviando il fascicolo, l’occupazione a scopo abitativo del 2014 dell’ex-convento di Santa Chiara, poiché si trattava di persone in stato di necessità per le quali le istituzioni non erano intervenute con delle politiche di accoglienza efficaci.
Crediamo che, proprio queste esperienze di vita quotidiana e di rivendicazione di basilari diritti per soddisfare bisogni elementari, abbiano ben contribuito a far rilasciare al sindaco di Bari queste dichiarazioni confortanti e condivisibili, all’interno di un clima sempre più caratterizzato da politiche istituzionali e governative razziste fatte di respingimenti e espulsioni, sgomberi e violenze.
Ora, però, si tratta di rendere queste affermazioni non solo limitate all’esistenza di esperienze esemplari. Nella città del presidente dell’Anci tali pratiche non possono rimanere precarie, uniche e irripetibili. Devono diventare, invece, un modello di politica abitativa da cui trarre spunto per alleviare le difficoltà delle persone più deboli e vulnerabili. Molto spesso, infatti, la povertà facilita l’esistenza di continui ricatti da parte della criminalità e di tutto quel mondo lecito o illecito che fa business sulla loro pelle.
Invece di continuare a sostenere politicamente progetti del mondo dell’imprenditoria sociale, attraverso la concessione di finanziamenti molto dispendiosi per le limitate risorse comunali, è bene che le istituzioni competenti diano concretamente il buon esempio. Come? Promuovendo l’assegnazione di immobili e caserme in disuso, strutture popolari a scopo abitativo direttamente ai nativi e ai migranti senza l’intermediazione di chi fa affari sulle povertà delle persone, mediante forme di autoregolamentazione condivisa. Insomma avviare con continuità e a livello universale politiche di welfare in cui la proprietà dei beni rimane pubblica, mentre la gestione diventa un percorso di responsabilità collettiva di chi utilizza e vive un bene comune.
Da dove partire? Da quanto già esiste in città. Semplicemente ascoltare con molta attenzione e umiltà come vivono e sono organizzati ad esempio gli e le abitanti di villa Roth nel quartiere San Pasquale. Loro potrebbero diventare i più efficaci ‘consiglieri comunali’ al servizio di una città aperta, accogliente e solidale.
Solidaria – Bari