Indice dei contenuti
Annie Le Brun, nel suo libro L’eccesso di realtà, sostiene che al disboscamento delle grandi foreste corrisponda l’annientamento della nostra foresta mentale, ha ricordato Martina Guerrini nel primo numero di Emma, rivista anarchica sbocciata in Italia durante la pandemia.
Non c’è libro migliore per riflettere sull’analogia tra foreste naturali e mentali, che We are ‘nature’ defending itself [Siamo la ‘natura’ che difende se stessa], scritto dall* artist* e attivist* Isabelle Fremeaux e Jay Jordan. Isa e JJ, come si chiamano l’un altr* in queste pagine, attraverso questo libro esprimono e raccontano la ZAD, Zone à défendre [Zona da difendere], che si potrebbe definire – se si volesse definirla – come una comune anarchica autogestita ed ecosocialista situata in una zona boschiva della Bretagna, in Francia. La storia della ZAD è una storia di lotta per salvare dalla distruzione tanto le foreste fatte di tronchi e rami, che le foreste mentali che, a volte, riescono ad accomunarci più ad un albero che a un capitalista.
“Resistenza e creazione”: breve storia della ZAD
La ZAD, secondo le stess* autor*, incarna il DNA dei processi rivoluzionari ben riusciti, fatti di due fili intrecciati: il sì e il no, protesta e proposta, resistenza e creazione, lotta e costruzione. La ZAD nasce in primo luogo dai No. Il destino deciso dal capitale per questa terra fin dagli anni ‘60 era quello di venire denudata, appiattita e ricoperta per diventare un aeroporto. Ma, quando arrivarono i primi tentativi di compravendita delle terre e le notifiche di sfratto alle fattorie del luogo negli anni ‘70, molt* contadin* – figli* a loro volta di una storia di resistenza locale – dissero no, e si organizzarono. Nel 2009, dopo decenni di proteste e disillus* dall’istituzionalizzazione del comitato locale, un collettivo di contadin* invitò compagn* dalle città e dalle province a venire ad occupare la terra, perché, scrissero, per difendere un territorio bisogna abitarlo.
Questa è la prima lezione della ZAD:
la solidarietà concreta richiede presenza, ma espone anche l’artificialità delle distinzioni tra “locale” e “globale”, “rurale” e “urbano”: si è ciò che si difende. Chi rispose alla chiamata occupò quel pezzetto di terra (e le onde radio della multinazionale che avrebbe dovuto spianarlo), la dichiarò zona libera e costruì case, collettivi, fattorie. La ZAD era così diventata un laboratorio di sperimentazione di radicale libertà sociale e produttiva.
Le reazioni del governo e del capitalismo
Le violente reazioni del capitale non si sono fatte attendere. Nell’ottobre 2012, con l’Operazione cesare, il governo (socialista) francese ordinò a migliaia di poliziotti di invadere la ZAD e, nonostante le barricate e la tenace creatività della guerriglia dei suoi abitanti, cabine e fattorie vennero distrutte. Sarebbero state ricostruite dalle mani di 40.000 persone venute da tutta la Francia. Il braccio armato del capitalismo, la polizia statale, ha distrutto la ZAD più volte, attaccandola con una straordinaria violenza fatta di manganelli, bombe sonore, gas lacrimogeni e proiettili di gomma, e lasciandola in pace solo quando i calcoli politici suggerivano convenienza.
We are ‘nature’ defending itself è, prima di tutto, la storia di una straordinaria resistenza, non romantica ma spontanea e quotidiana, tenacemente radicata nell’idea – normale e visionaria – che la terra non è di nessuno, e la libertà è di tutti. Nel 2018, il governo francese alla fine si arrese e annunciò che l’aeroporto non sarebbe stato fatto. Dopo aver dirottato un tentativo di istituzionalizzazione e atomizzazione della ZAD, l* suoi abitanti continuano a viverci, dimostrando che un’alternativa al capitalismo e alla proprietà privata è già possibile ora.
La ZAD e un mondo non-binario
Nonostante tracci una traiettoria rivoluzionaria, We are nature defending itself non è una cronaca. È un picchetto. Un picchetto piantato nel muro del pensiero binario, che apre una crepa attraverso la quale possiamo intravedere un mondo che ha superato le divisioni tra natura e società, arte e vita, corpo individuale e collettività, e forse persino reale e irreale, distruggendo le linee artificiali tracciate da un capitale che segue la logica della colonizzazione e della mercificazione del vivente.
Come ci ricorda Mark Fisher, la variante neoliberale del virus capitalista si è impossessata degli orizzonti del pensabile, rendendo irreale la possibilità di alternative effettive al sistema capitalista. Isa e JJ ci ricordano che un mondo impensabile esiste già – meglio, che non ha mai cessato di esistere. Dai modi di vita delle comunità indigene, alla rivoluzione zapatista, al Rojava, We are nature defending itself ci ricorda che anche la ZAD è erede di lotte passate e solo un ramo nell’immenso albero delle pratiche attuali dell’autonomia sociale dal capitalismo.
Siamo la “natura” che difende se stessa
We are nature defending itself non è, di per sé, un prodotto artistico, ma un’emanazione di un modo di vivere in cui la divisione tra arte e vita collassa, in concomitanza con il collasso della divisione del lavoro. Fuggit* da un “mondo dell’arte” che “denuncia” e “rappresenta” l’ingiustizia all’interno di istituzioni chiuse ed elitarie, l* autor* si (e ci) chiedono: Perché fare una mostra su* rifugiat* bloccat* al confine quando puoi co-progettare gli attrezzi per tagliare le recinzioni?
Ovvero: perché l’arte dev’essere separata dall’azione? Nell’attuazione concreta dell’anarchia in connessione con gli ecosistemi del reale, l’“arte” comunemente intesa si espone come una limitata costruzione storica coloniale e borghese, radicata nella presunzione che da un lato ci sia chi produce e dall’altro chi riflette, e che la bellezza sia riservata a* second*. In totale contrarietà a questa deprivazione, We are nature defending itself ci dice che quando ogni gesto è sperimentazione, ogni gesto diventa arte, intesa come libera espressione creativa della vita, e come azione di trasformazione del mondo.
Nessun corpo è atomizzato nella ZAD: i nostri corpi sono ecosistemi, parte degli ecosistemi circostanti. La natura non va protetta, la natura siamo noi. La ZAD non è un progetto conservazionista che possa essere finanziato dalle multinazionali per nascondere la propria responsabilità per la distruzione del pianeta: è un progetto di convivenza con altre specie e di equilibrio tra forme di vita, di dissidenza radicale rispetto alla logica stessa del capitale. Una volta uscit* dalla logica dell’appropriazione, ci si accorge quindi che la divisione tra natura e società era, in realtà, prima di tutto una scissione da noi stess*.
Solidarietà e multiversi nella ZAD
We are nature defending itself invita, in fondo, a un esercizio di attenzione. Una diversa attenzione al vivente, una fusione totale di vita e lotta politica. Un’attenzione simultanea alla resistenza e alla costruzione: ai “Sì” e ai “No”. Senza i “No”, ci ricordano l* autor*, le comuni autogestite perdono il contatto con le lotte anticapitaliste, e diventano circuiti chiusi ed esercizi sterili facilmente cooptabili. Senza i “Sì”, gli orizzonti del nuovo e della speranza spariscono, e l* attivist* smettono di credere nella reale capacità trasformativa della propria lotta, le alternative sfumano. Entrambi questi elementi sono necessari se si vuole costruire alternative realmente diverse dal capitalismo (e se magari ci si vuole divertire nel farlo).
L* autor* ci ricordano che la ZAD non è stata costruita nel vuoto asettico di pratiche nate puramente dall’idealismo: al contrario, è nata in seguito all’appello di contadin* del luogo, e si è mantenuta in vita grazie alla solidarietà concreta di migliaia di persone, locali e non, dentro e fuori dallo spazio autogestito. Così come gli altri binarismi, anche quello tra “la comune” e “la società” sparisce, rivelando la realtà come una cosa forse molto più semplice, ossia una rete di connessioni spontanee, a cui noi (o il sistema capitalista) ci preoccupiamo di dare nomi ed etichette per dare un senso a una vita basata su regole arbitrarie. Seguendo la scia dello zapatismo, liberarsi da queste etichette è, a volte, l’unico modo per fare spazio a un “multiverso”, ossia un “mondo che possa contenere più mondi”.
Lettura per anarchichə
We are ‘nature’ defending itself invita ad agire come se foste già liber*, nel qui ed ora, anche quando le discussioni politiche “a sinistra” si fanno lunghe e tortuose, per rispondere alla necessità della sperimentazione collettiva, che è la linfa dell’anarchia come pratica, prima che come ideale. Una lettura che consiglio a chiunque si dica anarchic* in Europa (o altrove), per avere una storia da ricordare quando pare che non ci sia speranza.
Questa recensione è stata anche l’occasione per approfondire la storia della ZAD. Grazie.