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L’egemonia per Gramsci
Inizialmente Gramsci riprese in parte il concetto di egemonia di Lenin. Per lo stesso Gramsci l’egemonia doveva intendersi come egemonia del proletariato, che avrebbe dovuto portare alla dittatura di esso. Per il grande pensatore sardo il proletariato doveva guidare i contadini. Il problema di fondo è che allora i contadini erano sotto il giogo dei latifondisti e del Vaticano, con l’aggiunta della borghesia settentrionale come terzo incomodo, che era anch’essa una forza conservatrice e oppressiva, che manteneva lo status quo. Ancor prima Salvemini aveva teorizzato un’alleanza tra operai del Nord e braccianti del Sud. Gramsci aveva già avvertito uno iato tra i cosiddetti semplici (allora erano tali) e gli intellettuali. Poi altri marxisti ripresero il concetto di egemonia, ma gli intellettuali dovevano guidare il proletariato, l’êlite doveva condurre le masse. Insomma l’egemonia del proletariato non era avvenuta. Se pensiamo a quanti ex operai sono stati o sono in parlamento constatiamo quanto tutto ciò sia un lascito del passato. Al posto dell’egemonia operaia c’era l’egemonia degli intellettuali e questo aveva portato a un’economia culturale comunista nel Paese. Comandavano gli intellettuali organici, che facevano i dirigenti di partito, gli scrittori, i burocrati, i funzionari. Tutto questo mi ricorda una battuta del grande vignettista Quino in cui un intellettuale comunista diceva a un altro che non aveva studiato: “Non dobbiamo dividerci in stupidi settarismi. Hai capito?”. Allora l’uomo rispondeva: “Sì” e l’intellettuale controbatteva perentoriamente: “Sì, dottore”. Questa battuta aveva naturalmente senso decenni fa quando il titolo di dottore ancora contava.
“Fine del mandato sociale” e dominio dei cortigiani
Ma poi finì quello che Franco Fortini, grande critico letterario, grande poeta e astuto demistificatore dell’industria culturale, chiamava “il mandato sociale” degli scrittori. Consiglio a tutti di leggere la sua raccolta di saggi brevi “Verifica dei poteri”, un libro molto complesso ma indispensabile per avere gll strumenti e gli input giusti per leggere questa realtà odierna. Fortini era stato profetico. Aveva già previsto tutto. Agli scrittori comunque non veniva quindi delegata più alcuna “funzione sociale”. Gli scrittori non servivano più alla società. Altro che engagement! Venne decenni dopo l’epoca dei cortigiani (erano già gli anni ’90), al punto che l’attore Silvio Orlando dichiarò che per anni nessuno più aveva fatto a teatro “Il nipote di Rameau” perché parlava di un ex cortigiano disfattista e ironico, che non sapeva più a chi vendersi: troppo attuale, troppo scomodo e poi qualcuno avrebbe potuto risentirsene, avrebbe potuto offendersi!!! Alcuni anni dopo gli intellettuali erano stati addirittura degradati. I tempi della Repubblica di Platone erano lontani. Quelli integrati al massimo diventavano portaborse, come nel film di Nanni Moretti. Era di moda rileggere ciò che aveva scritto Umberto Eco su apocalittici e integrati e ammettere francamente che aveva ragione totalmente. Non c’erano vie di mezzo. Bisognava scegliere da che parte stare. Nessuno poteva chiamarsi fuori. Le vie erano tre: pseudoorganici, cortigiani oppure disadattati. La coerenza non era richiesta. Si poteva cambiare casacca da un momento all’altro. Ci si poteva correggere in corsa, fare degli aggiustamenti. D’altro canto il pensiero è in continuo movimento, in perenne metamorfosi, in una evoluzione incessante. Poi se non era questione di buona fede era questione di tenere famiglia e di tirare a campare. Come scriveva in suo aforisma Longanesi tutti in Italia tengono famiglia.
La prostituzione intellettuale
Veniamo alla questione spinosa della prostituzione intellettuale. Indro Montanelli sosteneva che gli intellettuali italiani fossero sempre stati cortigiani, per cui non c’era da stupirsi di niente. E come meravigliarsi dell’andazzo attuale, considerando che come scriveva Leopardi le cose non vanno di bene in meglio ma di male in peggio? È risaputo che, secondo un celebre aforisma, gli italiani vanno in soccorso del vincitore, senza cercare delle costanti del carattere nazionale. Coloro che si sono venduti e hanno un padrone dicono che tutti si prostituiscono al mondo d’oggi e la forma più nobile di prostituzione è considerata appunto quella intellettuale. Tutti si vendono, tutti sono in vendita, ogni persona ha il suo prezzo. Ecco allora che tutti siamo merce deperibile. Bisogna insomma essere sul libro paga di qualcuno. Gli italiani da Prezzolini venivano divisi in furbi e in fessi. Se non accetti compromessi e non ti adegui al sistema vigente sei un fesso. Se invece riesci a portare acqua al tuo mulino sei in. Per i furbi coloro che non si sono venduti sono degli incapaci, dei poveretti, che non sono riusciti a vendersi, che non avevano la stoffa e/o il curriculum e/o l’esperienza opportune. Anche se il loro ambito di esperienza è limitato (come quello di ogni uomo) non hanno alcun dubbio, dispensano agli altri le loro certezze assolute, magari delle ovvietà scontate, che i loro sottoposti devono imparare a mente perché sono insegnamenti e leggi di vita. Gli intellettuali venduti dovrebbero attuare una rivoluzione copernicana nel loro pensiero: visto che anche loro vendono idee, personalità, onestà intellettuale e dignità non dovrebbero giudicare moralisticamente chi è costretta/o a venire il proprio corpo; sarebbe già un buon punto di partenza! In questa Italia si può essere anarchici, di centro, destra o sinistra, ma c’è una categoria trasversale di persone che fa carriera, ha sempre le mani in pasta, trova sempre il modo e la maniera di accordarsi con tutti: i massoni. Non siamo più ai tempi di Licio Gelli, dove le logge segrete erano ideate dagli americani. Eppure ho la vaga sensazione che ci siano ancora oggi delle logge segrete, dato che gli uomini di Stato non possono iscriversi alla massoneria ufficiale.
È chiaro e lampante che i cortigiani sono i più ossequiati e criticati, i più amati e i più odiati. Qualcuno potrebbe obiettare che il rapporto tra politica e cultura si è interrotto da tempo. È una semplificazione. Esiste ancora, anche se non è un legame così forte come un tempo. Anche se c’è inflazione legislativa molti politici fanno nuovi disegni di legge e per fare ciò come per fare politica hanno bisogno di essere degli intellettuali o hanno bisogno degli intellettuali. Inoltre, anche se sono deboli, esistono i legami tra cultura e industria, tra cultura e editoria, tra cultura e mondo dello spettacolo.
Gli italiani e gli intellettuali
Comunque non è un caso che gli italiani abbiano ormai poca fiducia negli intellettuali, che sentono troppo distanti dalla loro mentalità comune. Nel peggiore dei casi gli intellettuali non capiscono il popolo e il popolo non capisce gli intellettuali. È uno sport diffuso per gli intellettuali disprezzare gli italiani. È uno sport altrettanto diffuso per gli italiani disprezzare gli intellettuali. Sembra che un punto di incontro esista raramente, a meno che l’intellettuale non si riconosca in un figlio del popolo e gli italiani non lo riconoscano come loro figlio. Nel migliore dei casi non esiste una spaccatura, una divisione, ma siamo ormai tutti popolo. Gaber cantava: “Non credo più all’ingegno del popolo italiano/ dove ogni intellettuale fa opinione/ ma se lo guardi bene/ È il solito coglione”. Gli italiani spesso sono disincantati e non credono più a niente e a nessuno. Hanno sentito troppi proclami e troppe promesse disattese!
La popolazione italiana ha tre atteggiamenti sostanzialmente nei confronti degli intellettuali o presunti tali: 1) se sono riconosciuti a livello nazionale vengono riveriti e ammirati apparentemente, anche se sotto sotto vengono considerati arrivisti, voltagabbana, falsi, yesmen, leccaculo dei potenti, etc etc. In questo caso gli italiani si raccomandano in modo molto servile all’intellettuale 2) se svolgono una professione cosiddetta intellettuale e sono personaggi locali allora vengono rispettati dagli italiani, senza pestar loro i piedi, specie se sono insegnanti e possono bocciare i loro figli. In questo caso li si considera delle conoscenze utili, che possono sempre tornare comodi 3) se non sono riconosciuti o sono in difficoltà economica vengono stimati degli esauriti, dei pazzi, dei poveretti da non tenere in nessuna considerazione. In questo caso li si considera degli inutili perditempo.
L’intellettuale ormai è una figura innocua
Ma non preoccupatevi. Indipendentemente dalle formulazioni teoriche e dalle tipologie di personalità ogni intellettuale è un animale da talk show, pronto a fare il suo spettacolo e poi alzare le tende. Ogni autore deve essere prolifico per poi presentare il suo libro in TV, magari al telegiornale oppure in una trasmissione generalista in un’ora di punta per fare più audience possibile. Ma di intellettuali se ne vedono sempre più di rado, sono figure marginali del piccolo schermo perché talvolta neanche con la rissa fanno alzare quel numerino così importante, che si chiama share e che porta tanti introiti pubblicitari. E se le dinamiche televisive, partitiche, industriali sono perverse e illegittime lo sono altrettanto anche quelle del web. Chi ha potere non si preoccupi: nessun intellettuale è più rivoluzionario veramente, ovvero in grado di fare una rivoluzione culturale. Nel migliore dei casi gli intellettuali, anche quelli più disadattati, sono dei cosiddetti “svantaggiati integrati”, hanno tutti qualcosa da perdere. Sono pochi quelli alieni da ogni forma di compromesso e ancor meno quelli veramente liberi di pensare. Il potere ha assoggettato quasi ogni forma di pensiero oppure addirittura non permette più alcuna forma di pensiero veramente pericolosa per la sua stessa esistenza.
Contraddizioni intrinseche e problemi degli intellettuali
Una contraddizione intrinseca degli intellettuali italiani perlomeno è che sono quasi tutti di estrazione piccoloborghese e di formazione progressista. Se vogliono fare la rivoluzione alcuni pensatori come Mao Zedong li spronano a odiare e combattere i piccoloborghesi, ovvero anche loro stessi e i loro familiari. E poi se aveva ragione Pasolini quando scriveva che ormai tutti siamo piccoloborghesi? Chi si salverebbe allora? Come fare la rivoluzione se non c’è nessuno da salvare e tutti da combattere? Un altro problema insormontabile è il dominio incontrastato della cultura di massa. Bisogna leggere Macdonald. Oggi gli intellettuali anche se non sono Masscult sono Midcult, ovvero se non fanno cultura di massa fanno qualcosa di intermedio tra cultura alta e cultura di massa, propendendo più per la seconda. Il problema non è la qualità alta o bassa che sia ma la compromissione ideologica totale o quasi col sistema. Cosa ci vuoi sperare se anche le grandi case editrici guardano per un aspirante scrittore il numero di follower, la web popularity oppure se fa un lavoro di un certo prestigio sociale o meno? È il segno dei tempi. Bisogna adattarsi in fondo alle esigenze del mercato. Oggi qual è l’egemonia? Chi egemonizza chi? È un grande caos. Oggi ci lasciano la nostra libertà di pensiero apparente, tutti chiusi come siamo nelle nostre bolle. Chi cerca di leggere, informarsi, documentarsi, pensare con la sua testa viene ripreso duramente, sbeffeggiato, deriso, chiacchierato, ostracizzato, emarginato. Cosa puoi fare tu? Come puoi cambiare le cose? Sei un illuso! Come pensi di dare un tuo contributo? Nel migliore dei casi se uno fa il libero pensatore gli si ricorda i non brillanti trascorsi scolastici (“avevi a studiare quando andavi a scuola. Adesso non ti serve a niente”) o lo si taccia di essere uno pseudointellettuale senza alcuna capacità intellettiva. Soprattutto se uno non è schierato, non è allineato chiunque può sparargli addosso, indifeso e bersagliato com’è. Non solo non riceve alcun aiuto (perché i favori si fanno a chi mette la testa a partito) ma gli si dà addosso in modo tacito. Le questioni principali sono tre comunque: 1) chi è intellettuale oggi e ha sempre senso dare una definizione? 2) quale ruolo, quale funzione, quale servizio deve svolgere per la società? 3) l’intellettuale può e se sì in che modo cambiare la società?
A ogni modo uno dei problemi dei giovani intellettuali è il precariato. Un altro problema conseguente è la disoccupazione intellettuale. Oggi gli umanisti rischiano la povertà. Mal comune mezzo gaudio! In fondo anche la generazione z è stata definita generazione delle 280 euro (al mese). Ma non facciamo i lodatori dei tempi passati. Non sarebbe onesto né ottimistico. Forse qualcosa di importante è stato perso per strada. Ma siamo ancora a tempo a raccogliere l’eredità dei grandi pensatori che ci hanno lasciato. Forse c’è ancora possibilità di qualcosa di nuovo e di buono all’orizzonte. Non tutto è perduto definitivamente.