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Il progetto Zero
Negli anni ’70 Goodman e Gardner si occuparono del linguaggio dei simboli, fondando il “Progetto Zero” (così denominato perché si sapeva poco o nulla sull’argomento). Indagarono “la natura della conoscenza artistica”, partendo dal presupposto che l’arte fosse “un carattere distintivo della conoscenza umana”. Se in fondo riflettiamo su questa loro definizione non possiamo non essere d’accordo: ogni tentativo di espressione artistica è infatti un tentativo di rappresentazione del mondo. L’arte esiste da quando esiste l’uomo, di conseguenza deve essere considerata un bisogno umano. Per il filosofo Pareyson l’arte è bisogno dell’inutile. È plausibile che questo bisogno di rappresentazione scaturisca dal bisogno dell’uomo di trascendere la sua finitezza. L’originalità del progetto Zero è stata quella di riconoscere l’arte come conoscenza umana, mentre invece nel ‘900 l’estetica ha spesso giudicato l’arte con le categorie bello/brutto, buono/ cattivo, edificante/non edificante/, organico/non organico. Per grandi filosofi, anche come Vattimo, l’arte non dà apporto significativo di conoscenza né di verità, non aggiunge nessun tassello al mosaico della cultura. Secondo Vattimo non c’è niente che non sappiamo già in un’opera d’arte. Secondo Goodman e Gardner esistevano queste forme d’uso dei simboli: espressione di stati d’animo, attenzione al dettaglio, comunicazione di significati plurimi, composizione di più elementi.
Processo creativo, Wallace e Popper
Ora però approfondiamo i percorsi mentali, gli iter creativi, che portano all’arte. Wallace ha trovato, dopo aver studiato artisti e scienziati per tutta la vita, che il processo creativo si articola in 4 fasi: 1) preparazione 2) incubazione, ovvero rielaborazione inconscia 3) illuminazione o folgorazione 4) verifica e revisione.
Per Popper l’atto creativo è determinato soprattutto da un un’interazione continua tra Mondo 2, che comprende gli stati di coscienza (la conoscenza soggettiva, i pensieri, le intuizioni, l’immaginazione), e il Mondo 3, cioè la cultura (i substrati filosofici, artistici, scientifici che sono stati interiorizzati). È da questo processo continuo che scaturiscono la sintesi delle conoscenze, l’autonomia di pensiero, il senso critico, il senso estetico. Per dirla alla Eliot esiste un continuo interscambio tra talento individuale e tradizione. Ma se questo può spiegare l’hardware della creatività artistica non è sufficiente a spiegare l’ispirazione artistica, che è inscindibile dalla personalità dell’artista, vera fonte sorgiva a cui attingere. Alberto Moravia ci indica la chiave di lettura giusta: “lo scrivere, come anche il dipingere, implicano, per dirla in termini freudiani, l’eliminazione automatica dell’Io e naturalmente anche del Superego, mentre l’Es è in condizione di esprimersi direttamente “. Per quanto questa visione possa apparire a tratti schematica ci conferma, tramite l’autoanalisi del proprio processo creativo, che il letterato staglia sulla pagina bianca i moti delle sue pulsioni sotto forma di segni e simboli, essendo sempre in attesa di un’immagine inaspettata, cioè di quella che Lacan chiama sorpresa, che giunge inavvertitamente.
Se ci si interroga su quale stato mentale abbia prodotto un’espressione riuscita, un’opera d’arte, etc etc si apre un vasto ventaglio di teorie. Freud scava nella biografia degli artisti e li psicanalizza, la Klein pensa alla rielaborazione del lutto, altri meno noti teorizzano uno stato di tensione produttiva. Secondo la Klein l’artista crea perché avverte il senso di angoscia di una separazione, vissuta come perdita dell’altro ma anche come perdita di una parte di Sé. La letteratura spesso è amorosa. Nel discorso amoroso ci ricorda R.Barthes che c’è sempre “una persona a cui ci si rivolge, anche se questa persona è solo allo stato di fantasma”. Perciò l’assenza della donna amata fornisce spesso l’ispirazione per molti canzonieri d’amore. Gli Xenia e i Mottetti di Montale possono essere considerati degli “oggetti transizionali” per dirla alla Winnicott perché consentono al poeta di riappropriarsi con i ricordi e la poesia di una persona a lui cara. Per quanto riguarda la critica biografica, nata con Freud, Eliot nel suo saggio “Le frontiere della critica” fa delle considerazioni molto interessanti. Per il grande poeta la critica biografica rischia di avere una curiosità morbosa su aspetti irrilevanti, soprattutto di basarsi su indiscrezioni sulla vita sensuale dei letterati.
Caratteristiche del simbolo
Pasolini in un’intervista dichiarò che scrisse i suoi primi versi usando “usignolo” e “verzura”, ammettendo all’età di 8 anni in cui li scrisse non sapeva quale fosse il significato esatto di quelle parole. Pasolini poi continuava domandandosi dove avesse imparato “il codice classistico dell’elezione e della selezione linguistica”, detto in termini più moderni dove avesse imparato ad alfabetizzare i simboli. Tramite l’aiuto dell’estetica moderna possiamo definire il simbolo come “un segno-immagine”, scaturito dell’inconscio. La poesia nascerebbe da “corrispondenze” e sarebbe “una foresta di simboli” per dirla alla Baudelaire. Nascerebbe da risonanze interiori. Per Kandisky l’opera d’arte dipende dal “sentito”, che è il tramite tra mondo esterno e interiorità. Secondo Kandisky abbiamo: 1) emozione dell’artista 2) sentito 3) opera d’arte 4) sentito del fruitore o del lettore 5) emozione del fruitore o del lettore.
Un’opera d’arte è trasmissione di emozioni, comunicazione di sentimenti sotto forma di simboli. Secondo la semiologia di Pierce il simbolo è un significante che rinvia a un significato. Il segno dipende dal significato dell’oggetto, attribuito dalla comunità. I simboli più noti e comuni come il focolare che indica la famiglia, la colomba la pace, la bilancia la giustizia, l’acqua la purezza, la croce il cristianesimo, la volpe la furbizia evocano il secondo termine in modo molto immediato a livello immaginativo. La distanza tra i due termini è minima. Il divario tra segno e immagine è più complesso nella letteratura. Dante spesso crea simboli, traendo spunto da una paleosemiologia, cioè da simboli già preesistenti, come quelli greci e romani. Per Sanguineti in “Poesia e mitologia” tra significante e simbolo si situa l’arbitrarietà dell’artista. Non dimentichiamoci inoltre che per Freud i simboli hanno una valenza religiosa e una sessuale.
Caratteristiche del mito
Il simbolo risente degli usi e delle convenzioni sociolinguistiche. Sia simbolo che mito fanno parte comunque sia dell’inconscio individuale che dell’inconscio collettivo, come scoperto da Jung. Il mito possiede una dimensione narrativa a differenza del simbolo. Tuttavia quasi ogni mito è costituito da una rete di simboli. Usando un linguaggio specialistico il mito potrebbe essere definito come un intercodice a livello semantico, che può avere significati plurimi in diversi ambiti (cosmico, sociale, astrologico, poetico, zoologico). Inoltre ogni mito contiene un archetipo, ovvero una regola universale, atavica e ancestrale che appartiene all’incontro collettivo. L’archetipo viene anche definito come “una forma universale di pensiero”. Per esempio l’archetipo della femminilità nell’antica Grecia è dato dal mito di Afrodite, protettrice sia delle fidanzate che delle prostitute. Il mito inoltre viene creato da quello che Lévi Strauss chiama “il pensiero selvaggio”, che non distingue “il momento dell’osservazione” da quello “dell’interpretazione”. Prendiamo il mito poetico eliotiano del “Giardino delle rose” dei “Quattro quartetti”. Ebbene questo giardino dell’infanzia è il sacrario dei rimpianti, il ricettacolo di ciò che poteva essere e non è stato (“lungo il corridoio che non prendemmo/ verso la porta che non aprimmo mai”). Ma era veramente così quel giardino? Oppure l’infedeltà della memoria, il colore enfatico del ricordo lo ha migliorato? Eliot scrive che “le rose/ avevano l’aspetto di fiori che non sono guardati” e perciò lo stesso Eliot riconosce l’autoinganno, la consapevolezza del carattere illusorio del suo mito personale. Anche nel mito del “Giardino delle rose” non si riesce a distinguere l’osservazione dell’interpretazione. Tuttavia è necessario avere dei miti. Eliot scrive a riguardo: “Altri echi/ abitano il giardino? Lo seguiremo?”. Sempre a tal riguardo va detto che oggi la letteratura non è più mitopoietica, ovvero non crea più miti. Un tempo i miti erano trasmissioni di valori per le nuove generazioni. Ogni favola ha una sua morale, ma non essendoci più favole non c’è più morale: molto semplicemente, ma è effettivamente così
Creatività letteraria e disturbi d’umore
Ma da dove nascono simboli e miti? Se nascono dalla personalità degli artisti ebbene da quale tipo di personalità scaturiscono?
Lombroso, pur commettendo molte atrocità con le sue ricerche, aveva intuito il legame tra genialità e follia. Successivamente Kraepelin, che per primo individuò il disturbo maniaco-depressivo, propose un legame tra questo e il talento artistico. Negli anni ’70 alcune ricerche psicologiche hanno indagato questo aspetto. Da uno studio dell’università di Iowa, durato 15 anni su 30 scrittori celebri, è stato rilevato che l’80% aveva avuto almeno un episodio depressivo o maniacale: una percentuale di gran lunga superiore di quella del gruppo di controllo, comprendente persone non creative. Kaj Jamison con un altra ricerca ha trovato che più della metà dei poeti si curava o si era curata con degli psicofarmaci. Inoltre Bertagna, che ha avuto in cura 5 premi Gouncourt (grande riconoscimento letterario francese), riconosce che chi non è nevrotico non ha motivo di creare perché può godersi serenamente la vita. Ammesso e non concesso che esistano questi legami tra ciclotimia, disturbo bipolare, depressione e creatività letteraria bisogna vedere da cosa dipendono. Questi disturbi sono endogeni o reattivi? Oppure dipendono da un interazione delle due cose, ovvero sia da individuo e società? Se è vero che nell’antichità l’artista era ritenuto depositario della verità e non poteva essere pazzo oggi sia l’artista che la verità sono entrambi messi in discussione. Facendo una radiografia approssimativa della società occidentale ci si rende conto che la sua essenza è costituita dala razionalità tecnologica e dal nichilismo, che comportano consumismo e utilitarismo: insomma una cultura “disantropomorfizzante”, che ha perduto il piacere estetico e l’umanesimo. Siamo in definitiva nella nuova Repubblica di Licurgo.
Bibliografia ragionata
“E liberaci dal male oscuro” di Giovanni B. Cassano e Serena Zoli, Tea, 2002
“Un’estrosa pazzia” di Patty Duke (Autore), Gloria Hochman (Autore), L. Perria (Traduttore), Longanesi, 1994
“Aprire le menti” di Howard Gardner, Feltrinelli, 1991
“Opere. Gli archetipi e l’Inconscio collettivo (Vol. 9/1)” di Carl Gustav Jung, Bollati Boringhieri, 1997
“L’io e il suo cervello” di Karl Popper e John Eccles, Armando Editore, 2002
“Sortite. Piccoli scritti sui rimedi (e la gioia)” di Emanuele Severino, Rizzoli, 1994