Di Riccardo Renzi1
Tra 26 settembre e il 1° ottobre 2023, presso lo spazio espositivo della Casa degli Artisti di Milano, si è tenuto l’open studio di Cecilia Del Gatto. Tre i progetti in mostra: Umi Hotaru, La casa e Sette salme di sale.
Il primo lavoro, il cui nome origina dalle lucciole marine di cui sono popolate le coste Giapponesi, si incentra proprio sulla bioluminescenza di questi piccoli molluschi, i quali riescono a rilasciare luce anche dopo essere stati essiccati. I soldati Giapponesi durante la Seconda Guerra Mondiale utilizzavano la loro polvere che mischiata con la saliva permetteva loro di leggere mappe nell’oscurità. L’Artista volendo generare una commistione tra la storia giapponese e le qualità bioluminescenti dell’umi hotaru, ha impresso su foglio fotosensibile una lettera autografa dei famigliari a un soldato nipponico (1944) attraverso la luce prodotta dagli umi hotaru. Gli ideogrammi, incomprensibili ai più, raccontano la quotidianità, gli affetti e le emozioni. Quella realizzata dall’Artista è una sorta di radiografia di una fonte storiche, che nel momento dello scatto cristallizza quel lembo di storia.
Il secondo progetto, La Casa, si compone di una sequenza di scatti, ben delineati nel tempo, che hanno per soggetto sempre la medesima abitazione situata nelle campagne del sud della Marca. La casa sorge su un terreno non poco lontano dalla strada, circondata da terre incolte e da un assordante silenzio. L’attenzione della Del Gatto è ricaduta proprio su tale edificio, poiché le sue finestre sono costantemente aperte, come le porte dell’auto e del camper che ivi sono parcheggiati. Questa usanza ha una motivazione molto chiara, stando alle voci del luogo, la proprietaria lascerebbe tutte le porte e le finestre aperte per evitare che gli spiriti dei defunti vi rimangano intrappolati all’interno. Gli scatti dell’Artista hanno l’obiettivo di documentare le variazioni delle interazioni tra l’edificio, la proprietaria e l’ambiente circostante. La dimora funge da portale tra terreno ed extraterreno, tra tangibile e intangibile, tra corpo e anima. Una porta nella materia che conduce alla non materia, o meglio alla negazione di essa. Ma a ciò si lega il folklore ben radicato in quelle terre. Fotografando la dimora con cadenza regolare, sempre dalla medesima inquadratura, si percepisce il trascorrere del tempo, l’alternanza delle stagioni. Dunque, mentre il primo lavoro si propone quasi di congelare la storia, questo mette in evidenza l’inesorabile scorre del tempo.
Il terzo e ultimo lavoro, Sette salme di sale, indaga il processo di riappropriazione naturale dell’artificio antropico. Il progetto origina da una costatazione fatta dall’Artista presso l’Isola del Giglio, ove l’azione dell’aria salina consuma, sino a farle svanire, le fotografie del piccolo cimitero. Dunque, anche l’ultima traccia dell’essere umano, col passare del tempo, è destinata a svanire. L’istallazione mette prepotentemente in evidenza la caducità della vita, concepibili unicamente come momento di passaggio, contrapposta alla forza rigeneratrice della natura, che in pochi decenni è in grado di riappropiarsi di tutto ciò che in origine le apparteneva. Le immagini mettono in evidenza i segni dell’ossidazione causata dall’aria salina, che lentamente erade i tratti distintivi dell’individuo, andandolo ad uniformare. L’opera mette in contrapposizione il desiderio dell’uomo di conservare memoria di sé e la forza devastante della natura che lo rende totalmente impotente.
Entrando nella sala espositiva si percepisce pienamente il complesso lavoro dell’Artista, che attraverso la materia e creando sequenze di oggetti, esprime concetti complessi come appunto quelli legati alla memoria e alla caducità della vita o all’inesorabile scorrere del tempo.
Note
[1] Istruttore direttivo presso Biblioteca civica “Romolo Spezioli” di Fermo.