di Simona Spadaro
Attraversando il centro storico della nostra città, Barletta, è facile inoltrarsi lungo una via importantissima, che collega la zona della Cattedrale di S. Maria a quella dei complessi storici ed artistici della Cantina della Disfida di Barletta, conducendo poi verso il Monte di Pietà ePalazzo della Marra. Turisti ed abitanti la percorrono frequentemente, e chissà quanti si interrogano o si soffermano un istante a pensare, chi sia il personaggio di cui porta il nome quella via che, anticamente era più semplicemente detta “Via delle Carrozze”.
Questa considerazione che potrebbe sembrare quasi indefinita, teorica e vaga; incontra tuttavia una risonanza più forte e concreta, nell’epoca dei social network, quando basta aggiungersi ad un gruppo attorno ad una discussione, e notare con stupore che alcuni pensieri silenti e considerazioni individuali raccolgono invece
un più ampio eco, tra chi aveva già pensato la stessa cosa- e chi pensandola, la condivide.“Barletta-Cambiamo il nome a via Cialdini” si chiama un gruppo creato dal basso, da una degli abitanti della nostra città che interrogandosi sull’identità del personaggio che dà il nome a quella via lì, (si) interroga giustamente sulla volontà di cambiamento delle pratiche e delle politiche della memoria locale. In tutto questo la conoscenza storica e la coscienza etica è determinante quanto l’importanza di chiedersi il perché delle cose, di andare a fondo, di non restare indifferenti e prendere una posizione.
Sono tanti i comuni meridionali, che in maniera “masochistica” hanno intitolato ai propri oppressori delle strade, delle piazze, delle vie. Certo in queste operazioni, sono racchiuse parti di quella sporca politica che non ascolta la volontà popolare, o che la capovolge, oppure potrebbe essere la ripercussione di un certo sapere nozionistico e neutrale, che serve al consolidamento del potere imposto dall’alto. Non potrebbe essere altrimenti, pensando chi è stato Cialdini per l’Italia e per il Sud e cosa storicamente la sua figura rappresenta. Durante il 1861, l’ anno dell’unità d’Italia, Cialdini fu un feroce generale che senza scrupoli e con estrema crudeltà ha capeggiato nelle regioni del sud Italia dure repressioni, arresti in massa, distruzione di casolari e masserie, vaste azioni contro centri abitati per catturare ed annientare il fenomeno del brigantaggio; facendo strage di civili innocenti, oltre alle stragi di coloro a cui la storia dell’epoca dava il nome di banditi, o di briganti, solo perché si ribellavano dinanzi allo stato di povertà e di ingiustizia sociale da cui erano oppressi.
La carriera del generale Cialdini, fu prontamente premiata dal regime dei Savoia che premiava la devozione di chi si batteva per il mantenimento del proprio potere, dunque alla soppressione dei movimenti dal basso e alle rivendicazioni sociali, che forse oggi, grazie ad un po’ di coraggio, potremmo sicuramente definire dignitosi e civili pensando al fenomeno del brigantaggio nel meridione.
Contestare il ricordo, l’onorificenza data ad un personaggio feroce come un generale che ha assassinato tantissime persone delle fasce sociali più basse, significa operare in virtù di una ridefinizione di valori storici da recuperare, di una memoria sociale che non sia ad esclusivo monito di vertici sordi e dei soliti pochi eletti.
Occorre recuperare la storia locale, interrogare la storia non ufficiale e quella ufficiale, affinchè la dimensione del presente e quella del futuro dialoghi con quella del passato, per non ricadere in quella sensazione di gramsciana memoria che la “storia insegna-ma non ha scolari”.
Attorno alla volontà di “spodestare” Cialdini dalla toponomastica attuale, emergono diverse proposte per la dedica ad un personaggio che rappresenti bene una via così caratteristica della città. Una delle idee più sentite e più attinenti, forse potrebbe essere la dedica ad un personaggio importantissimo della nostra città come Carlo Cafiero, che considerava il brigantaggio come “ il moto spontaneo di una plebe affamata ed ingannata”.
Accanto a questo auspicabile cambiamento, si aggiunge la denuncia che allo stesso personaggio è stata dedicata una stradina marginale, di poco conto, e ciò non fa che sottolineare come egli sia stato ridimensionato e trascurato da anni; ed ulteriore testimonianza di ciò è il fatto che una via più grande, nei pressi del Castello, prenda il nome di suo padre Ferdinando, piuttosto che di lui, sociologo meraviglioso, discendente più illustre, maltrattato da sempre, rinchiuso in un manicomio dopo aver viaggiato e scritto opere di importanza storico sociale e politica di una validità enorme, ed aver lottato sempre a difesa delle classi più svantaggiate e delle individualità più sfruttate.
In nome del pensiero critico, della conoscenza, e di una consapevolezza sociale attiva, occorre continuare ad interrogarsi su quei nomi che la storia dà alla memoria, e su quelli dati in pasto all’oblio o relegati per anni nell’ombra e, dopo anni spinti faticosamente in superficie per finire in angusti spazi rispetto alla grandezza delle proprie esistenze.