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“Se la gioventù le negherà il consenso, anche l’onnipotente e misteriosa mafia svanirà come un incubo. ”
Il rapporto tra la mafia contemporanea e i giovani è un tema complesso e di grande attualità. Oggi le organizzazioni mafiose (come Cosa Nostra, ‘Ndrangheta, Camorra, Sacra Corona Unita, e altre realtà emergenti) continuano ad adattarsi ai cambiamenti sociali, economici e culturali, e purtroppo riescono ancora a coinvolgere i giovani in vari modi.
Come la mafia coinvolge i giovani oggi
1. Reclutamento nei quartieri disagiati
In molte aree ad alta marginalità sociale, la mafia offre ai giovani una “scorciatoia” per ottenere soldi, status e potere. Viene sfruttata la mancanza di opportunità lavorative e l’assenza dello Stato.
2. Lavori illegali e microcriminalità
I ragazzi possono essere coinvolti in attività come spaccio di droga, estorsioni, furti, e usura. Spesso iniziano con piccoli incarichi, per poi essere progressivamente integrati nella struttura mafiosa.
3. Uso dei social media
Alcune mafie stanno usando TikTok, Instagram e Facebook per mostrare una vita di lusso, ostentare ricchezza e potere, e attrarre giovani in cerca di riconoscimento o rispetto.
4. Coinvolgimento indiretto
Altri giovani, pur non essendo affiliati, sono “consumatori” del sistema mafioso: comprano droga, frequentano locali controllati dalla mafia, oppure accettano “favori” in cambio di silenzio.
Cosa attira i giovani verso la mafia
Mancanza di alternative: lavoro, cultura, tempo libero
Modelli negativi: l’idea del “boss” come vincente
Assenza di fiducia nelle istituzioni
Fascinazione per il potere e il denaro facile
Come si potrebbe contrastare il fenomeno
1. Educazione alla legalità
Progetti scolastici, testimonianze di vittime o pentiti, iniziative di antimafia sociale e culturale sono fondamentali per formare coscienze critiche.
2. Lavoro e inclusione sociale
Offrire vere opportunità (borse di studio, sport, cultura, impresa giovanile) è il modo migliore per togliere manodopera alla criminalità.
3. Esempi positivi
Testimoni come don Luigi Ciotti (Libera), associazioni, cooperative sui beni confiscati dimostrano che un’alternativa è possibile.
Paolo Borsellino: un eroe di ieri, di cui l’oggi ne ha bisogno impellente
Paolo Borsellino è stato un magistrato italiano, nato a Palermo il 19 gennaio 1940 e assassinato dalla mafia il 19 luglio 1992 in via D’Amelio, sempre a Palermo. È considerato, insieme a Giovanni Falcone, uno dei simboli più importanti della lotta alla mafia in Italia.

Chi era Paolo Borsellino?
Professione
Magistrato, giudice istruttore, poi procuratore aggiunto presso la Procura di Palermo.
Impegno: Si è dedicato con determinazione al contrasto di Cosa Nostra, l’organizzazione mafiosa siciliana.
Collaborazione con Falcone: Faceva parte del cosiddetto “pool antimafia”, insieme a Falcone e altri magistrati, che avviò importanti indagini sui vertici mafiosi.
La vita privata di Paolo Borsellino era semplice, riservata e profondamente segnata dal senso del dovere, dalla famiglia e dalla fede. Nonostante fosse un uomo pubblico per il suo impegno contro la mafia, nella sfera personale rimase sempre molto discreto e legato agli affetti più intimi.
Famiglia
Moglie: Paolo Borsellino era sposato con Agnese Piraino Leto, figlia di un magistrato. I due si conobbero da giovani e si sposarono nel 1968.
Figli: Ebbero tre figli: Lucia Borsellino, ex assessore alla Sanità in Sicilia, oggi impegnata in progetti legati alla legalità.
Manfredi Borsellino, funzionario di Polizia, oggi Dirigente della Polizia di Stato. Fiammetta Borsellino, attivista per la verità sulle stragi del ’92, molto impegnata nella memoria del padre.
Vita quotidiana
Borsellino viveva a Palermo, in una condizione di grande pressione: la sua vita era sotto costante sorveglianza a causa delle minacce della mafia.
Era molto legato alla madre, che abitava in via D’Amelio – proprio dove avvenne l’attentato.
Nonostante il lavoro impegnativo, cercava di preservare momenti di normalità con la sua famiglia, spesso anche con ironia e umanità.
Fede e valori
Paolo Borsellino era una persona di profonda moralità e valori cattolici. Aveva un forte senso dello Stato, della giustizia, della responsabilità. Si dichiarava credente e viveva il proprio lavoro come una missione civile e morale.
Credeva nella forza dell’esempio, soprattutto verso i giovani.
Era descritto da chi lo conosceva come: Gentile, educato, molto riflessivo. Dotato di ironia sottile e forte autocontrollo. Un uomo di pochi amici intimi, ma fedeli.
Aveva una passione per la lettura e la storia, in particolare quella del Risorgimento e della Costituzione italiana.
Vita sotto scorta
Dopo l’assassinio di Falcone (maggio 1992), la sua vita cambiò radicalmente: Dormiva poco. Era consapevole di essere “un morto che cammina”, come disse ad amici e familiari.
Continuava comunque a lavorare con determinazione e coraggio, dicendo:
“Chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola.”
Il Maxi Processo
Tra i principali risultati del suo lavoro c’è il Maxi Processo di Palermo (1986-1992), il più grande processo penale mai celebrato contro la mafia, che portò a centinaia di condanne.
Il processo si basava anche sulle rivelazioni di Tommaso Buscetta, primo grande “pentito” di Cosa Nostra.
Il Maxi Processo di Palermo (1986–1992) è stato il più grande processo penale della storia italiana contro la mafia, in particolare contro Cosa Nostra, l’organizzazione criminale siciliana. È considerato una pietra miliare nella lotta alla mafia e un capolavoro di diritto e coraggio, voluto e portato avanti da magistrati come Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, e altri membri del pool antimafia.
Cos’è stato il Maxi Processo?
Luogo: Palermo, all’interno dell’aula bunker del carcere dell’Ucciardone, costruita appositamente per motivi di sicurezza.
Inizio: 10 febbraio 1986
Fine: 30 gennaio 1992 (con la sentenza definitiva della Cassazione)
Durata: 6 anni
Imputati: 475 mafiosi
Capi d’accusa: Omicidio, traffico di droga, estorsione, associazione mafiosa, e altri reati gravi.
Protagonisti principali
Magistrati del pool antimafia: Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Antonino Caponnetto, Giuseppe Di Lello, Leonardo Guarnotta
Collaboratori di giustizia fondamentali:
Tommaso Buscetta, il primo vero “pentito” di Cosa Nostra, che rivelò l’organizzazione piramidale della mafia e i rapporti interni tra le famiglie.
Salvatore Contorno, altro pentito che confermò le rivelazioni di Buscetta.
Perché fu un processo storico?
Per la prima volta, la mafia fu trattata come un’organizzazione unica e strutturata, non come sommatoria di singoli reati. Si applicò l’articolo 416-bis del codice penale, introdotto nel 1982, che riconosce l’associazione mafiosa come reato specifico. Venne accertata l’esistenza della “Cupola”, cioè una struttura di vertice di Cosa Nostra.
Le sentenze
Primo grado (1987): 19 ergastoli
2665 anni di carcere complessivi
Appello (1990): alcune condanne ridotte
Cassazione (30 gennaio 1992):
Conferma quasi totale delle condanne
Presidente della Corte: Corrado Carnevale, inizialmente sostituito per sospette simpatie verso ambienti mafiosi
Il Maxi Processo si concluse con la conferma definitiva della sentenza: fu una vittoria storica dello Stato contro la mafia.
Le conseguenze
Totò Riina e i boss di Cosa Nostra non accettarono la sconfitta.
Pochi mesi dopo la sentenza definitiva, nel 1992, Falcone e Borsellino furono assassinati.
Le stragi furono viste come vendetta e intimidazione verso lo Stato.
Eredità
Il Maxi Processo dimostrò che la mafia si può combattere con le leggi e la giustizia. Ha ispirato nuove generazioni di magistrati, studenti e cittadini a credere nella legalità. Ancora oggi è un esempio studiato in tutto il mondo per come è stato organizzato, difeso e concluso.
L’attentato di via D’Amelio
Il 19 luglio 1992, Paolo Borsellino fu ucciso da un’autobomba parcheggiata sotto casa della madre. Nell’attentato morirono anche cinque agenti della scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.
Solo 57 giorni prima, anche Falcone era stato assassinato con la moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta nella strage di Capaci.
L’attentato di via D’Amelio, in cui fu assassinato Paolo Borsellino, è uno degli episodi più tragici e controversi della storia della lotta alla mafia in Italia. Avvenne il 19 luglio 1992, a Palermo, 57 giorni dopo la strage di Capaci, in cui era stato ucciso l’amico e collega Giovanni Falcone.
L’attentato: cosa accadde il 19 luglio 1992
Alle ore 16:58, una Fiat 126 imbottita con circa 100 kg di esplosivo saltò in aria in via Mariano D’Amelio, sotto casa della madre del magistrato. Paolo Borsellino stava andando a trovare la madre, accompagnato dalla sua scorta. L’esplosione fu devastante: il magistrato morì sul colpo, insieme a 5 agenti della scorta.
Le vittime:
Paolo Borsellino, 52 anni, Agostino Catalano, capo scorta, Emanuela Loi, 24 anni (prima donna della Polizia di Stato a cadere in servizio), Walter Eddie Cosina, Claudio Traina, Vincenzo Li Muli
L’unico agente sopravvissuto fu Antonio Vullo, che era rimasto in macchina.
La dinamica e i misteri
Come fu organizzato: La mafia fece parcheggiare la Fiat 126 sotto casa della madre di Borsellino giorni prima. L’auto fu rubata e preparata a Palermo con un telecomando a distanza. L’attentato fu pianificato con cura e precisione da Cosa Nostra, in particolare dal boss Totò Riina.
I misteri irrisolti:
Chi sapeva i movimenti di Borsellino? Solo pochi conoscevano i suoi spostamenti.
La sparizione dell’agenda rossa: nella borsa di Borsellino ritrovata integra non c’era il suo diario personale, sparito misteriosamente (vedi sopra).
Presenze “anomale” sulla scena del crimine: diversi testimoni parlarono di uomini in abiti civili o divise che presero oggetti dalla macchina.
Ipotesi sulla trattativa Stato-Mafia
Negli anni successivi, molti hanno ipotizzato che Borsellino fu ucciso perché sapeva troppo su una presunta “trattativa” tra pezzi dello Stato e Cosa Nostra, in cui si cercava un accordo per fermare le stragi in cambio di benefici per i mafiosi detenuti. Borsellino forse aveva scoperto qualcosa, e stava indagando. Questo potrebbe averlo reso ancora più pericoloso agli occhi della mafia – e forse anche di settori deviati delle istituzioni.
Conseguenze e memoria
Lo shock dell’attentato spinse migliaia di cittadini a scendere in piazza, specialmente i giovani. Nacquero movimenti antimafia, come quello delle Agende Rosse fondato dal fratello Salvatore Borsellino.
Ancora oggi, la verità completa su via D’Amelio non è mai stata chiarita del tutto
Simbolo di coraggio
La strage di via D’Amelio ha trasformato Paolo Borsellino in un simbolo eterno della legalità e della lotta alla mafia. Le sue parole, le sue azioni e il suo sacrificio continuano a ispirare generazioni.
Oggi Paolo Borsellino è considerato un eroe nazionale.
Viene ricordato ogni anno, specialmente il 19 luglio, in eventi pubblici, scuole e manifestazioni civili.
A lui sono intitolate scuole, piazze, vie, e biblioteche in tutta Italia.
La sua figura è centrale nel racconto dell’Italia contro la mafia.
Libri consigliati:
“Gomorra” di Roberto Saviano
“Io non ho paura” Ammaniti
“La mafia spiegata ai bambini: l’invasione degli scarafaggi” di Marco Rizzo
“La mafia spiegati ai ragazzi” di Antonio Nicasio