Jo Güstin scrive 9 racconti ambientati perlopiù in una cittadina del Camerun e le sue storie sono luminose, nel senso che squarciano il velo d’ignoranza e di oscurità che avvolge il Sud del mondo per noi occidentali, che siamo nati per caso e per fortuna nel primo mondo, i cui privilegi sono, per dirla alla Attilio Bertolucci indifendibili, senza scadere nella retorica e nel pietismo di certi radical chic. La scrittrice ci racconta una realtà di cui non sappiamo niente, tra magia, superstizione, povertà, omofobia, razzismo interiorizzato e vissuto come persecutore interno. Non è l’autrice, con uno stile asciutto, essenziale e con talento, maestria, padronanza stilistica, che attua lo straniamento, ovvero che rovescia il punto di vista del lettore, come Tolstoj e Brown, ma è la realtà descritta in modo magistrale, che è straniante, perturbante, disturbante per chi vuole rimuovere la fame e la povertà nel mondo dalla sua mente o anche per chi non vuole pensarci oppure anche per chi si immagina povero in Africa per qualche raro istante ma poi rimane chiuso nei soliti pensieri, nella solita quotidianità, nei suoi problemi, credendo che la fatica del suo vivere e il grigiore della sua esistenza sia tutto. Questo è un libro, davvero ben scritto, sapiente, tagliente, più sarcastico che umoristico, tragico ma che lascia aperto uno spiraglio di speranza tra tanta miseria, che ci invita a riflettere, a meditare non solo sulla nostra fortuna di occidentali ma anche sulla nostra indifferenza, sul nostro cinismo. È un libro che non vuole far scaturire sensi di colpa né attribuire esclusivamente le colpe a noi occidentali, al nostro colonialismo, al nostro imperialismo, alle multinazionali occidentali, ma che vuole soltanto farci prendere atto con creudezza realistica che nel Sud del mondo per alcuni poveri il giusto è sbagliato, il bene è male, il male è bene ed è difficile tracciare una linea di demarcazione tra queste due entità, che dopo un’attenta lettura ci sembrano astrazioni di chi filosofeggia a stomaco pieno in democrazie occidentali dove si hanno molte più libertà d’azione e d’espressione. Senza sdilinquimento e con antiesemplarità la scrittrice ci invita veramente all’empatia, ovvero a mettersi nei panni di bambine costrette a prostituirsi, di bambini soldato, di bambini che si considerano inferiori per il colore della loro pelle, di ragazze che vorrebbero essere ragazzi, di giovani donne che si devono soltanto limitare a sognare un amore saffico, che sarebbe perseguito legalmente con la pena di 5 anni. È chiaro che dietro questo bel libro c’è dietro un retroterra culturale di alto spessore, fatto di studi intersezionali, di riflessione profonda sul razzismo e sul colonialismo. Ma oltre a questo c’è il pregio che quest’opera non è scritta da un autore occidentale che furbescamente fa ideologia, propaganda, demagogia, ma ha il grande valore di essere una testimonianza di una donna che conosce sulla propria pelle certe realtà e certe problematiche, avendole viste, conosciute e vissute in prima persona e non solo immaginandole o per sentito dire. Non c’è assolutamente strumentalizzazione ideologica perché ad esempio non viene mai trattato il tema dell’immigrazione in Occidente, tra chi vorrebbe disumanamente affondare i barconi e tra chi non vorrebbe per niente controllare i flussi migratori. Non viene puntato l’indice solo sull’uomo bianco sfruttatore ma sull’intero sistema in cui gli oppressori sfruttano gli oppressi e in cui i turisti sessuali occidentali pagano prostitute bambine ma anche in cui eminenti prelati africani le stuprano e i loro autisti le mettono a fare la vita di strada. Non è solo questione quindi di nero e bianco ma soprattutto di padroni e poveri perché come scrisse Oliviero Beha un nero povero è un nero, mentre un nero ricco è semplicemente e solamente un ricco. Un’altra cosa che insegna questa raccolta di racconti è che si può essere scrittori o scrittrici intellettuali senza schermi, senza filtri, senza intellettualismi, come invece nel panorama letterario italiano in cui alcuni non solo complicano il già complesso ma anche le cose più semplici, credendo che per essere rispettati e stimati bisogna a ogni costo scrivere nel modo più astruso e difficile possibile. In questo senso l’apparente semplicità di questo libro, in cui però l’autrice è sempre precisa, quasi esatta nelle parole, può insegnare a molti non solo a percepire i veri problemi del mondo ma anche a restituire con chiarezza la realtà nella pagina scritta. Ma forse la cosa più stufacente del libro è il fatto di essere un mirabile impasto di realtà e immaginazione, in cui non si sa mai distinguere la vita veramente reale e quella soltanto immaginata. E tutte queste qualità elencate, racchiuse in una sola opera, sono una cosa più unica che rara.
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