Questo tempo, quest’epoca, questa società corrompono tutti o quasi. Siamo moltissimi a essere corrotti o corruttori. C’è chi corrompe gli altri sessualmente, chi economicamente, chi lavorativamente, chi culturalmente, chi socialmente, chi politicamente. Spesso le persone si lasciano corrompere per campare, per soddisfare i loro bisogni primari e come dar loro contro? Coloro che cercano di non corrompere e di non farsi corrompere vengono considerati dei fessi, perché gli italiani, come scriveva Prezzolini, si dividono in due categorie: i furbi e i fessi. Questa distinzione è valida ancora oggi e questo stato di cose ci condiziona, ci corrompe, ci condanna alla disonestà. Oggi probabilmente non viviamo nell’amoralità, nell’immoralità ma nella post-moralità. Persino i concorsi universitari talvolta sono truccati e allora cosa sperare se la classe dirigente intellettuale non dà il buon esempio? Prima ancora di essere corrotti materialmente siamo corrotti spiritualmente, culturalmente, nella testa e nel cuore. La nostra società capitalistica, consumistica, questa civiltà dell’immagine sono fondate su dei valori secondo la retorica e l’apparenza, la facciata insomma, ma in realtà sono nichiliste, materialiste. Siamo tutti usa e getta. Siamo “in” fino a quando siamo utili, facciamo comodo e ci adattiamo a regole e disvalori. Siamo out se non siamo più appetibili per il mercato, per la cultura dominante, per l’etá, per la mentalità. Le classi sociali grazie a Dio sono finite, i romanzi di formazione e le educazioni sentimentali pure, la metafisica è quasi morta, la coscienza e l’inconscio sono già stati scandagliate a dovere. La nostra coscienza è comunque falsa coscienza e al contempo coscienza infelice. Inutile raccogliersi interiormente, meditare, pregare, riflettere: meglio vivere, godersela finché dura, perché si fa presto a invecchiare e del domani non c’è certezza. Secondo una frase fatta siamo unici e irripetibili. In realtà chi ricerca la sua unicità e irripetibilità spesso si ritrova solo. Non si può dire quello che si pensa e fare quello che ci pare. Ci sono gli obblighi sociali. Ci sono le aspettative degli altri. C’è sempre la nostra autocensura per paura, vergogna, etc etc. Bisognerebbe essere sé stessi…bisognerebbe essere autentici e perciò cercare la verità. I mistici cercano la verità in sé stessi, gli scienziati la cercano nella natura, gli intellettuali umanisti nei libri. Ma se giungessero a dei frammenti di verità sarebbero davvero compresi, gratificati, riconosciuti, apprezzati oppure è meglio stare nel gregge, accettando le regole di un gioco sporco e le leggi di questo pazzo mondo? Scriveva Simenon che la verità umana (non quella divina) fosse qualunque, mischiata in mezzo a tante altre. Forse c’è un poco di verità anche nella vita qualunque, in parte reale e in parte immaginata, di noi persone qualunque in cittadine qualunque. No. Non pensate di salvarvi, di essere duri e puri perché in un modo o nell’altro siete e siamo quasi tutti corrotti nella mente o nel cuore. Si fa e si riceve favori, si ricatta o si cede ai ricatti, ci si sporca le mani e si sporcano quelle altrui. In questo mondo gli onesti ci rimettono sempre e poi chi sono gli onesti? Sono solo quelli che non hanno avuto l’occasione di peccare. Insomma è l’occasione… Dollard e Miller avevano considerato l’aggressività come effetto della frustrazione. Berkowitz dimostrò che era dovuta in gran parte a fattori situazionali. Zimbardo con l’esperimento di Stanford ci fece capire l’importanza del ruolo degli attori sociali e della deindividuazione. Persino noi anarchici, che non abbiamo un partito, ci lasciamo spesso contaminare dal mondo. Insomma vivendo facciamo esperienza e in questo mondo fare esperienza significa sporcarsi l’anima. È difficile ad esempio lavorare oggi e non stressarsi, non arrabbiarsi, non incamerare malumore, a volte essendo trattati male, a volte trattando male gli altri. In un modo o nell’altro il mondo produce in noi complessi, frustrazioni, rabbia, invidia, delusione, depressione, fatica psichica e/o fisica, dolore fisico o esistenziale. Bisogna adattarsi, adeguarsi, conformarsi ai dettami della società, anche a costo di snaturarsi. La domanda di molti è: sarò più infelice se mi adatto con difficoltà e accettando compromessi o se resto solo, riuscendo a essere me stesso? Il guaio è che tutta la vita cerchiamo di rompere la solitudine, che la tolleriamo male, che ci vogliono un’anima forte, una mente preparata per sopportare la solitudine, per tollerare emarginazione e incomprensioni, andando contro il mondo. E poi a cosa serve andare contro il mondo, se si è soli? Bisogna essere almeno in due per andare contro il mondo. Se non si trova un’altra persona con cui sognare insieme un nuovo mondo, si è dei folli. Oggi la saggezza, la ponderatezza di una persona sola sono pura follia, puro delirio. La verità è condivisione, la sua unica dimensione è intersoggettiva, interpsichica e non intrapsichica. Ma oggi nessuno sa comunque la verità e ognuno dice la sua. Non c’è verità ma solo lo gnommero gaddiano, la matassa che non si sbroglia di Montale, il fatto che tutto sia inutile, come scriveva Guido Morselli nel suo diario. E se c’è la verità è un poliedro dai lati infiniti, come scriveva Gioberti: un poliedro i cui lati sono i punti di vista di tutti gli esseri umani. In questo modo le verità soggettive si accumulano, si moltiplicano esponenzialmente, si contraddicono, si annullano vicendevolmente. Tutti scriviamo la nostra sul web, ma tutto ciò non conta niente: è una goccia inutile nel mare magnum di Internet, dei social. Foucault in tempi non sospetti scriveva “Le parole e le cose”. Le parole non possono essere un fine, il dialogo costruttivo non può più essere il fine in questa nostra società. Le parole sono mezzi per arrivare alle cose o per trattare gli altri come cose da sfruttare economicamente, socialmente, culturalmente, sessualmente. Forse l’unico modo di non rimanere contaminati è rinchiudersi in convento, abbracciare la clausura o diventare eremiti, ma questo spesso è una fuga dal mondo più che una rinuncia. No. Non pensate di essere neanche meglio dei mafiosi, di essere incorruttibili e onesti totalmente. Nascere a Corleone, a Casal di Principe, a San Luca non è una colpa né un merito: in gran parte dei casi è un destino, un destino già segnato per sempre perché è difficilissimo uscire fuori dal sistema, rinnegare amici e familiari, rischiare la vita e farla rischiare ai propri familiari. Certi “intellettuali” con il carattere che si ritrovano probabilmente sarebbero diventati boss sanguinari, se nati e cresciuti in un ambiente malavitoso. Io non so chi siano i giusti e i peccatori, anche se mi sforzo di credere in ciò che è bene e di evitare il male. A volte penso che l’unica via di uscita sia una piccola autodistruzione, lenta e inesorabile, senza essere troppo impazienti di vedere se c’è qualcosa dopo la morte.
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