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Di Riccardo Renzi1
Contesto storico e divisione delle carriere
Molto in questi tempi si sta parlando di magistratura, inerentemente, in particolare, alla divisione di carriere. Per comprendere però la magistratura d’oggi è bene riflettere su ciò che essa è stata nel passaggio tra le due guerre e in particolare durante il regime fascista. Con il presente lavoro si vuole riflettere sulla classe di magistrati di quegli anni, quanti di essi aderirono volontariamente al regime, quanti si opposero, quanti si sottomisero e quanti restarono liberal-democratici. Cercheremo di comprendere come il regime sia riuscito così rapidamente ad entrare nei meccanismi della magistratura, andandosi ad imporre su di essa.
La magistratura prima e durante il Fascismo
La classe dei magistrati che si trovò ad affrontare il fascismo e il secondo dopoguerra fu quella di coloro che avevano iniziato la carriera prima dell’avvento del fascismo e che si erano formati agli studi giuridici e alla pratica giudiziaria durante l’età giolittiana. Molti di essi avevano partecipato alla Prima Guerra Mondiale, avevano orientamenti diversi, dai più conservatori, ai democratici e socialisti, passando per i reazionari e fascisti2. La maggior parte era orientata verso la democrazia liberale. Altre, soprattutto delle generazioni più anziane, tendevano ad un ferreo nazionalismo3. I loro orientamenti politici, spesso celati, non si riflettevano nelle loro sentenze.
La loro maggioranza proveniva dalla piccola e media borghesia, la quale si era potuta permettere di far studiare i figli per un riscatto sociale. Vivevano tutti la politica attiva con riserbo, come imposizione stessa del costume. Credevano profondamente nel loro mestiere, con orgoglio e amore. Un’opera ci sovviene in ausilio per comprendere il carattere di quei giudici, Elogio dei giudici scritto da un avvocato di Piero Calamandrei, pubblicata nel 1935. L’opera rispecchia e definisce alla perfezione i limiti e le debolezze, ma soprattutto le virtù e l’altissima dignità della magistratura di allora. Sul piano della tecnica giuridica molti erano i magistrati di altissimo livello. Alcune delle loro più belle sentenze in materia civile furono riportate da Ludovico Mortare nella rivista da egli stesso diretta, Rivista critica di giurisprudenza italiana in materia di procedura civile.
Le reazioni dei magistrati all’ascesa del Fascismo
Una parte di questi giudici, soprattutto quella legata alle tradizioni liberali, non vide per niente bene l’avvento del fascismo. Molti di loro però si piegarono al regime o decisero di restare nell’indifferenza, altri, invece, si opposero con fermezza e coraggio. Il fascismo divenne però ben presto regime e la magistratura di allora, spesso poco combattiva, lo subì passivamente, come altre componenti dello Stato liberale. Un perfetto spaccato di tale situazione in Veneto è ben descritto dalla pubblicazione di Giovanni Focardi, Magistratura e fascismo. L’amministrazione della giustizia in Veneto. 1920-1945, pubblicata nel 2012 da Marsilio editore. Andiamo però con ordine e cerchiamo di comprendere le limitazioni imposte dal regime.
L’epurazione e le riforme del regime fascista
L’avvento del regime provvide immediatamente a cancellare, già dal 1923, le aperture conseguite con la riforma Rodinò. Il ministro Aldo Oviglio promosse un’epurazione di oltre 300 magistrati, riformò l’ordinamento giudiziario intensificando il sistema della carriera e dei gradi, in collegamento con la “riforma De Stefani”, che ridefiniva le gerarchie degli impiegati civili sul modello della carriera militare: Non si limitò però a questo, in breve tempo soppresse numerose sedi giudiziarie, sostituì Mortara e De Notaristefani ai vertici della Cassazione con Mariano D’Amelio e Giovanni Appiani e trasferì d’ufficio Cirillo, inviandolo a Trani. L’opera fu completata poi da Alfredo Rocco, a partire dal 3 gennaio 1925, che vietò per legge ogni “associazione di magistrati”. Chieppa, però, non attese il provvedimento esecutivo del Governo e, col gruppo dirigente compatto, decise l’autoscioglimento dell’organizzazione. Nel silenzio ormai calato attorno ai magistrati, Rocco, nel 1926, dispose infine la destituzione «per antifascismo» di 17 funzionari, scelti tra i maggiori esponenti dell’ormai defunta Associazione, Chieppa e Cirillo per primi.
L’adesione formale e le pressioni del regime
Va detto che per molti magistrati anziani e giovani, la stessa iscrizione al partito fu sentita come un puro adempimento formale, imposto soprattutto dalla necessità lavorativa. Altri, soprattutto quelli nel fiore degli anni, la sentirono come una mortificazione dalla quale doversi riscattare4. Altri ancora aderirono al partito poiché credevano nella rivoluzione tanto millantata. Con la magistratura avvenne ciò che era accaduto ai docenti universitari nel 1931 con l’obbligo di giuramento di fedeltà al regime. Va però detto che la situazione dei magistrati era differente, poiché con le cariche che ricoprivano erano più a riparo5.
Manifestazioni di lealtà al regime fascista
Va però detto che sino al 1931 molti magistrati aderirono liberamente al regime. Un episodio emblematico fu quello nel 1926, quando più di 600 magistrati manifestarono in un libro pensieri l’ammirazione per il Duce: «A te, o Benito, queste pagine che racchiudono il canto passionale dei Pretori d’Italia». Anche tra quelli che non parteciparono a tali plateali manifestazioni, molti si impegnarono attivamente alla trasformazione dello Stato, sia affiancando direttamente il ministro, sia perché cooptati nelle commissioni per la riforma dei codici (come Ugo Aloisi, Silvio Longhi e Antonio Albertini). Ma, soprattutto, l’intera magistratura penale, riunita in assemblee distrettuali, fornì il contributo maggiore6.
L’infiltrazione fascista nell’amministrazione giudiziaria
Una volta che il regime penetrò in profondità all’interno dell’apparato amministrativo, il sistema di funzionari fu diretto con le circolari ministeriali e controllato dall’alto ad opera della Cassazione di Mariano D’Amelio, che curò l’uniforme applicazione del nuovo diritto fascista, con particolare attenzione per quello concordatario. Venero riformati anche i criteri di accesso alla magistratura, per entrare, dal 1934 bisognava esibire l’iscrizione al Pnf e, dal 1938, dichiarare anche di essere maschi di razza ariana. L’alta magistratura, con Gaetano Azzariti, Antonio Manca e Giovanni Petraccone, fu designata a gestire il Tribunale della Razza. La grande maggioranza di essa fece finta di non vedere, neanche quando alcuni colleghi sparivano, perché ebrei e perciò costretti a cessare la professione.
L’apice del controllo fascista e le conseguenze per la magistratura
L’apice fu toccato nel 1940, quando in occasione dell’apertura dell’anno giudiziario, 240 alti magistrati in uniforme del Pnf inneggiarono ai discorsi di Dino Grandi, il quale li invitava a oltrepassare i limiti della legge per obbedire allo spirito del tempo e di Mussolini, che ribadiva l’intervenuta e definitiva fine della divisione dei poteri. Al termine della cerimonia tutti festanti abbandonarono Palazzo Venezia intonando l’inno della Rivoluzione. Va ricordato, in chiusura, che molti di loro, come testimoniato da Galante Garrone in La magistratura italiana tra fascismo e resistenza: «Per quel che so, nessuno dei giudici formalmente iscritti fu – quanto meno in Piemonte – di fatto obbligato a gesti e comportamenti di effettiva adesione. Chi andò alle adunate e indossò la camicia nera e infilò il distintivo all’occhiello lo fece di sua sponte…»7. Tale comportamento potrebbe sì giustificarsi sommariamente e frettolosamente con un eccesso di timore, ma molti magistrati, come in ogni regime, aderirono anche per avere una rapida e prestigiosa carriera.
Note
- Istruttore direttivo Biblioteca civica “Romolo Spezioli” di Fermo.
- 2 P. Saraceno, Storia della magistratura italiana: Le origini, in La magistratura del Regno di Sardegna: lezioni del corso di Storia dell’amministrazione dello Stato italiano per l’anno accademico 1992-1993, Roma, G. Pioda, 134.
- A. Galante Garrone, La magistratura italiana tra fascismo e resistenza, in Nuova Antologia, anno 121, luglio-settembre 1986, p. 80.
- G. Focardi, Magistratura e fascismo: l’amministrazione della giustizia in Veneto, 1920-1945, Venezia, Marsilio, 2012, p. 25.
- A. Galante Garrone, La magistratura, cit., p. 81.
- O. Abbamonte, L’ideologia della magistratura tra Otto e Novecento, in Il potere dei conflitti: testimonianze sulla storia della magistratura italiana, Torino, Giappichelli, 2017, p. 123.
- A. Galante Garrone, La magistratura, cit., p. 81.