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Il cuore pulsante del capitalismo non batte solo nelle catene di montaggio delle fabbriche o sulle scrivanie degli uffici, ma anche nelle nostre case. Il lavoro domestico e di cura sono il motore di un sistema che ha costruito il proprio dominio sul lavoro invisibile delle donne, appropriandosi del loro tempo, dei loro corpi e delle loro emozioni. Senza salario, senza riconoscimento, senza diritti. Se non quelli “amorevolmente” concessi.
Dopo Oltre la periferia della pelle, Federici torna in Italia, con un’opera fondamentale, finalmente in edizione completa: La rivoluzione al punto zero. In questo libro, sono stati condensati decenni di lotte e analisi su temi che vanno dallo sfruttamento del lavoro riproduttivo, alle conseguenze per le donne del colonialismo, diventando nelle sue varie edizioni un pezzo fondamentale della storia del femminismo e del pensiero radicale contemporanei.
La Rivoluzione al Punto Zero è un’arma teorica per chi vuole comprendere, ma soprattutto trasformare, il presente in cui ci troviamo a lottare. (Dalla pagina di presentazione)
Silvia Federici
Silvia Federici è una saggista di lungo corso, Di impostazione marxista, si è sempre occupata di arricchire la complessità del dibattito anticapitalista dimostrando teoricamente quella che ne è la radice stessa. Lo sfruttamento del lavoro di cura e come questo sia considerato “naturale”. Autrice e docente, da oltre 50 anni attivista nei movimenti femministi (Wages for housework). Nei suoi scritti ha sempre dimostrato come il controllo dei corpi delle donne sia alla base, ancora oggi e anzi oggi forse ancora di più, del sistema di potere capitalista.
La rivoluzione al punto zero
Il libro è una raccolta di testi scritti dall’autrice tra gli anni ’70 e gli anni ’10 del 2000. Personalmente lo ritengo un testo fondamentale che non mi limiterò solo a consigliare ma anche a diffondere. Leggendolo ho potuto riscontrare quanto anche tra i millennial bianchi e di sinistra, siano ancora diffuse convinzioni introiettate dal patriarcato. Il libro ribalta il paradigma secondo cui il lavoro domestico sia da considerarsi “naturale” e riporta al centro del dibattito la necessità di un suo riconoscimento.
Attualità bruciante
Federici analizza e smonta punto per punto tutte le contraddizioni che stanno alla base tra ciò che vogliamo essere e ciò che il sistema e il mercato ci impongono di essere. Esplorando i concetti di maternità, sessualità, riproduzione, migrazione e violenza istituzionale si vedono le radici di queste spinte contraddittorie. Nella nostra quotidianità viviamo sempre più in una tortura psicologica simile allo strappamento medievale. Se all’epoca erano gli arti ad essere tirati in direzioni opposte oggi sono le nostre identità, le emozioni e le volontà e ciò avviene in maniera subdola, costante e impercettibile. Un girone infernale chiamato capitalismo con 8 miliardi di torturati e un torturatore. Uno stile di vita i cui beneficiari sono i produttori di psicofarmaci e di sostanze da dipendenza.
Contro il mito del progresso
Come mi capita spesso di ripetere il capitalismo non potrebbe esistere senza patriarcato, cosi come i fascismi non potrebbero esistere senza capitalismo. Abbattere mattone per mattone il sistema patriarcale significa agire sulle fondamenta di quel millenario controllo dei corpi umani e in particolare dei corpi femminilli (aggiungo io di qualsiasi specie, l’autrice non parla di specismo). In questo modo la cura potrà essere restituita alla comunità e condivisa. Liberata dal dovere e dalle tassonomie di genere. Il capitalismo richiede la distruzione di qualsiasi attività economica non subordinata all’accumulazione e per farlo usa, spesso e volentieri, la guerra. Il libro cita esempi di donne che questo lo hanno compreso e hanno attuato forme di resistenza. Sono raccontati gli esempi delle cucine comuni in Cile e Perù e varie forme di gestione femminile della terra, in ottica anticapitalista, che mi riportano alla mente la poesia di James Connolly; “Vogliamo solo la terra”.
Riflessioni personali
Leggere oggi, nel 2025, di fronte a tutte le lotte sociali necessarie e urgenti non può che spingermi a fare delle considerazioni. Mi sono fermato spesso, durante la lettura, a riflettere su quanto il lavoro di cura (in particolare per sè stessi) e il tempo siano concetti correlati e quanto siano sempre più risicati e rosicati dalla società attuale.
Lavorare per vivere?
Penso a quanto sia sempre più maggiormente e obbligatoriamente delegato il lavoro di cura per i soggetti deboli (bambin*, anzian*, persone con disabilità). Assumere e pagare colf, baby sitter e badanti crea un nuovo soggetto discriminatorio e ovviamente un discriminato. Inoltre il soggetto “curato” diventa spesso un prodotto de-umanizzato. Senza considerare che chi lavora in questi settori finisce per privare se stess* e la propria famiglia dal lavoro di cura o comunque a doverlo fare doppiamente essendo pagat* la metà.
Vivere per lavorare
Tutta la vita è organizzata in maniera funzionale alla società capitalista. Affinchè questo si perpetui è necessario che il lavoro di cura non venga riconosciuto.
“Avere un salario significa far parte di un contratto sociale chiaro: lavori, non perchhè ti piace o perché ti viene naturale, ma perché è l’unica condizione sotto cui ti è permesso vivere”
dal libroConclusioni
Una lotta che spinga gli Stati a riconoscere il lavoro di cura (come quella portata avanti dal movimento wages for housework) libererebbe da diverse ipocrisie e potrebbe avere effetti reali positivi sulla cultura e la società. Da uomo ritengo che libererebbe gli uomini dall’essere strumento attivo del potere patriarcale.
Guardiamo all’Italia. Quando i genitori lavorano entrambi fuori ed entrambi a casa (con il lavoro di cura condiviso) fanno la scelta più difficile ed economicamente meno conveniente. Per assurdo converrebbe economicamente, anche per via del gender gap, che l’uomo lavori di più e la donna di meno o che non lavori fuori per lavorare full-time (anzi extra time se consideriamo anche il servizio psicologico, sessuale etc. che serve per far accettare al marito i mali palesi del sistema capitalistico).
Inoltre l’impossibilità di curare se stess*, va a beneficio dello stesso capitalismo. Mangiare male e di fretta cibi pronti – spesso pagati più di quanto il rider che li consegna guadagna in un giorno, o serviti velocemente da camerieri sottopagati – è spesso causa problemi di salute.
Ma si sa, per i problemi causati dal capitalismo la soluzione la offre…il capitalismo. Se infatti la sanità pubblica si indebolisce e viene privata di fondi, riconvertiti al militarismo, ecco pronta per curare i mali di una vita che non è vita, una bella assicurazione sanitaria privata.